Giornalista rischia 8 anni di carcere per avere “ricettato” una notizia
Giovedì 14 luglio si torna in aula nel processo al giornalista Agostino Pantano, imputato di "ricettazione di notizie" per la sua inchiesta sullo scioglimento per mafia del consiglio comunale di Taurianova, in Calabria.
Nell’udienza in programma al Tribunale di Palmi per la mattinata, si attendono le conclusioni del dibattimento iniziato il 16 aprile 2015, e, così come disposto dal Giudice Onorario Silvana Labate, si assisterà alla requisitoria del pubblico ministero e alle arringhe del collegio difensivo composto dagli avvocati Salvatore Costantino e Claudio Novella.
Non è escluso che già nel pomeriggio possa arrivare la sentenza di un procedimento che, come si ricorderà, ruota intorno alla presunta segretezza della Relazione della Commissione Prefettizia di Accesso, il documento richiamato dal giornalista nei suoi articoli sul quotidiano Calabria Ora.
La condotta di Pantano, la cui inchiesta lunga 28 articoli era stata pubblicata tra l’aprile e il maggio 2010 – ad 1 anno e 1 mese di distanza dallo scioglimento del civico consesso decretato dal Governo Berlusconi – viene valutata per la seconda volta in sede giudiziaria, dopo che un primo giudice, chiamato a esprimersi sulla presunta diffamazione denunciata dall’ex sindaco di Taurianova Rocco Biasi, aveva archiviato la posizione del cronista, dichiarando come egli abbia agito «nell’esercizio del diritto di cronaca» e riconoscendo nei suoi articoli l’esistenza di «presupposti di interesse pubblico, verità della notizia e continenza».
Ma il caso del giornalista Pantano è reso straordinario anche dal particolare capo di imputazione scelto dalla Procura di Palmi che considera oggetto ricettato le notizie scritte da Pantano e non la Relazione della Commissione Prefettizia d’Accesso che conterrebbe, secondo l’ipotesi accusatoria, informazioni coperte dal segreto d’ufficio dalla cui pubblicazione il giornalista avrebbe «tratto un profitto» avvantaggiandosi da un reato presupposto commesso da altri.
Viste le gravi caratteristiche del doppio processo per la stessa inchiesta giornalistica, e tenuto conto di una imputazione sui generis che fa rischiare a Pantano fino a 8 anni di carcere, questo caso limite è stato a più riprese denunciato dai vertici della Federazione Nazionale della Stampa, attraverso il presidente Beppe Giulietti e il segretario nazionale aggiunto Carlo Parisi, e due interrogazioni parlamentari sono state presentate dai senatori Francesco Molinari e Lucrezia Ricchiuti.
In entrambe le iniziative sindacali e politiche, è stata messa in evidenza la straordinaria gravità di un bavaglio alla stampa tentato nuovamente per via giudiziaria e la penalizzazione che il diritto di cronaca subisce nel doveroso racconto del connubio perverso in certi enti locali tra la mafia e la malapolitica.
Sostegno al giornalista è stato inoltre espresso attraverso una petizione on line in cui è stato chiesto alla Procura di rivedere la grave accusa formulata, tenuto conto che Pantano ha scritto in un tempo parecchio successivo alla stesura della Relazione, quando eventuali contenuti segreti del testo sarebbero apparsi considerevolmente sfumati.
Una mobilitazione che ha visto al fianco del giornalista anche gli attivisti dei presidi di Reggio Calabria e Foligno dell’associazione antimafia Libera, nonché i rappresentanti della start up sociale "Cosa Vostra".
luglio 13, 2016 Commenti disabilitati su Giornalista rischia 8 anni di carcere per avere “ricettato” una notizia
Colpito Bentivoglio ma è Reggio che brucia
Reggio Calabria – Fiamme dolose hanno distrutto nella notte il magazzino della sanitaria "Sant’Elia" di Tiberio Bentivoglio. Il colpo all’attività del commerciante, testimone di giustizia impegnato da anni in una dura lotta contro il racket, è stato durissimo: il rogo ha mandato in fumo tutta la merce dell’azienda che proprio tra qualche giorno sarebbe stata trasferita nella nuova sede all’interno di un bene confiscato. Chi ha colpito, quindi, ha agito con chirurgica precisione, attendendo la vigilia del trasloco ed il trasferimento dell’intero campionario nel magazzino. Evidentemente mandanti ed esecutori volevano che nessun appiglio da cui ricominciare potesse restare al commerciante, sotto scorta dopo essere sfuggito ad un tentato omicidio e da anni vittima di danneggiamenti e richieste estorsive. Colpire per abbattere, insomma.
Illuminando a giorno la notte di Reggio, però, le fiamme contro Bentivoglio mostrano, a chi vuol vedere, che è tutta la città a bruciare. Con buona pace del ministro degli Interni, Alfano, che nel corso di una recente, distratta visita sullo Stretto, ha raccontato di una ‘ndrangheta indebolita. Ad avere buona memoria e a saper mettere in fila gli eventi, la cronaca dice altro. Dice che a Reggio bruciano il diritto alla sicurezza personale, alla libertà di parola, alla libera impresa, alla mobilità. Dicono che a Reggio brucia il diritto al futuro. In questo senso le ceneri fumanti del magazzino di Bentivoglio, oltre ad essere un autentico dramma per il commerciante e per la sua famiglia, rappresentano una spaventosa metafora del presente e del futuro della città.
L’incendio di Reggio richiede acqua abbondante e, soprattutto, gente che la porti. Non serve quella raccolta con i secchi bucati di parole in circolo, patetici richiami all’esercito e appelli lacrimevoli a salvifiche visite istituzionali. Non serve quella stagnante dell’indignazione e dell’impegno singhiozzante che non spegne neppure i fiammiferi. E non basta quella, necessaria ma insufficiente, garantita da tribunali e caserme. Serve la sferzata violenta delle nostre fiumare in piena, per spegnere, abbattere e spazzare via, se necessario.
Il primo passo di questa necessaria, collettiva e concreta reazione è chiaro: l’apertura della nuova sede della sanitaria di Tiberio Bentivoglio va’ garantita, da tutti gli organi istituzionali, come un atto politico di prioritaria importanza. Come la risposta, forte e chiara, ad una rappresaglia del nemico, perché di questo si è trattato. Non accetteremo timidezze, incertezze, presunte difficoltà burocratiche, promesse non mantenute. Di più. Ce ne ricorderemo, e lo ricorderemo, ad ogni facile invocazione al coraggio civico.
febbraio 29, 2016 Commenti disabilitati su Colpito Bentivoglio ma è Reggio che brucia
Patto per la Rinascita da Casal di Principe a Reggio Calabria
REGGIO CALABRIA – La testimonianza e la narrazione di una rivoluzione pacifica: vincere Gomorra con la cultura e il recupero della reputazione, Casal di Principe ospita gli Uffizi. Fino al prossimo 13 dicembre è possibile visitare la mostra "La luce vince l’ombra-gli Uffizi a Casal di Principe", curata da Antonio Natali, Fabrizio Vona e Marta Onali. L’esposizione è prodotta e organizzata da First Social Life e rappresenta il primo caso in Europa di start up culturale in un bene confiscato alla camorra, la villa di un boss, Egidio Coppola, è diventata un museo all’avanguardia.
In collaborazione con l’amministrazione di Casal di Principe e con il Comitato don Peppe Diana, First Social Life ha realizzato il primo caso di "lobby etica" a sostegno del progetto R_Rinascita, cooperazione, fondazioni, imprese, insieme per dimostrare che al Sud è possibile vincere la sfida culturale di promozione della fiducia economica. A Reggio Calabria, il prossimo 26 novembre, saranno presenti i protagonisti di questa avventura sociale vincente, disponibili a chiedere alle diverse realtà calabresi il sostegno per proseguire insieme il percorso di liberazione dalle mafie.
"La comunità calabrese è stanca di ‘ndrangheta e sopratutto non vuole più accettare l’economia del ricatto. In questi anni la magistratura, le forze dell’ordine, il mondo del lavoro, hanno operato per liberare la Calabria, associazioni e imprese perbene quotidianamente reagiscono al sistema clientelare dei clan. Da tempo siamo impegnati nella lotta alle mafie, ma al contempo siamo convinti che occorra voltare pagina e proibire i proclami vuoti delle dichiarazioni di circostanza: serve un nuovo patto sociale per la cultura e il lavoro, un accordo di produzione e di azione verso una nuova stagione di fiducia economica nei confronti delle comunità più impegnate. Reggio Calabria è un simbolo, come lo è Casal di Principe, per ragioni ovviamente molto simili, ma occorre andare più un profondità e recuperare insieme la radice di libertà e testardaggine tipica del popolo di Calabria, magari attraverso la cultura e la promozione della responsabilità sociale", così i responsabili di First Social Life curatori del progetto complessivo, Giacinto Palladino e Alessandro de Lisi. Altro aspetto importante è l’impegno di oltre ottanta giovani casalesi "gli Ambasciatori e le Ambasciatrici della Rinascita", che in questi mesi accolgono i visitatori e narrano da protagonisti la rivoluzione della reputazione che stanno costruendo.
All’incontro pubblico, in programma giovedì 26 novembre alle ore 11.00 presso la sala "Federica Monteleone" del Consiglio regionale della Calabria, saranno presenti Davide Grilletto, Presidente Arci Reggio Calabria, Romina Arena, Stop ‘ndrangheta, Giuseppe Toscano, Presidente Associazione Pro Pentedattilo, Tina Ascanelli, First Social Life / Calabria, con Antonella Caterino, Ambasciatrice della Rinascita, Marta Onali, curatrice (con Antonio Natali e Fabrizio Vona) dell’esposizione "La luce vince l’ombra – gli Uffizi a Casal di Principe" e Alessandro de Lisi, direttore cultura First Social Life / R_Rinascita. Condurrà gli interventi Giuseppe Toscano, giornalista de La Gazzetta del Sud.
L’appuntamento calabrese di First Social Life / R_Rinascita è a cura di Irene Fontanella.
novembre 23, 2015 Commenti disabilitati su Patto per la Rinascita da Casal di Principe a Reggio Calabria
Donne di ‘ndrangheta, “Teresa” sbarca a Reggio
REGGIO CALABRIA – L’anima di una madre, feroce custode dell’ortodossia ‘ndranghetista e sconvolta dalla scelta di liberazione della figlia, è la cupa protagonista di "Teresa. Un pranzo di famiglia", lo spettacolo teatrale scritto dalla giornalista Francesca Chirico ed interpretato da AnnaMaria De Luca. La pièce, nata da un’idea di Franco Marzocchi e diretta da Luca Maria Michienzi, sbarcherà per la prima volta a Reggio Calabria il prossimo venerdì 9 ottobre. L’appuntamento, in programma al teatro Zanotti Bianco (il Cipresseto) alle ore 21.15, si inserisce nell’ambito delle iniziative della “IV giornata nazionale dell’attore” organizzata dal Teatro del Carro nella città dello Stretto per ricordare le figure di Pino Michienzi e Rodolfo Chirico.
Lo spettacolo – Teresa ama l’esattezza dei numeri e odia la libertà delle parole. Sognava di fare la parrucchiera ma le hanno insegnato a “parlare quando piscia il gallo”, che la famiglia è una cosa grande e che chi la disonora sparisce. Crescendo non ha mai tradito la lezione. Sposa senza amore, vedova assetata di vendetta, madre consigliera, Teresa ogni giorno apparecchia un posto a tavola anche per chi non c’è, per il marito ammazzato, per il figlio arrestato. Sacerdotessa solitaria di un rito messo in crisi, con tutti i suoi disvalori, dalla scelta di libertà della figlia Angela diventata testimone di giustizia per sfuggire ad un mondo di violenza, silenzio ed infelicità. Lacerata dalla decisione di Angela, Teresa ripercorre in scena la propria vita, ricomponendo, storia dopo storia, nome dopo nome, il cupo affresco di una famiglia di ‘ndrangheta.
L’autrice – “Per apprezzare a pieno la potenza dirompente delle scelte compiute da collaboratrici come Giusy Pesce bisogna considerare le altre donne, le madri, le nonne, quelle che decidono di restare, fedeli sacerdotesse di un mondo di morte e solitudine”, dichiara Francesca Chirico, giornalista, scrittrice e capo-redattore di Stopndrangheta.it. Già collaboratrice di Narcomafie, Liberainformazione e Linkiesta, l’autrice di “Teresa” ha pubblicato nel 2011 il romanzo Arrovescio (Rubbettino editore), vincitore del premio letterario "Bruno Chimirri 2010", e con il saggio “Io parlo – Donne ribelli in terra di ‘ndrangheta” (Castelvecchi, 2013), tra i vincitori del premio giornalistico Siani, ha raccontato le donne che hanno infranto il silenzio preteso dalle cosche e assegnato loro dalla tradizione.
La protagonista – AnnaMaria De Luca, attrice e autrice, è nata a Spezzano Albanese, ha frequentato la Scuola d’Arte Drammatica di Gianni Diotaiuti dal 1973 al 1975 e l’Accademia delle Belle Arti conseguendo il diploma in scenografia nel 1978. Nel suo percorso professionale spiccano le partecipazioni con ruoli centrali in spettacoli diretti da Franco Zeffirelli, Enrico Maria Salerno, Glauco Mauri. Numerosi anche le sue partecipazioni a sceneggiati e "fiction" televisive dirette tra gli altri da registi come Damiano Damiani, Claudio Risi, Antonia Avati e Alexis Sweet. Ma quello che ha formato l’identità artistica della De Luca è il lungo sodalizio professionale e umano con il suo compagno di una vita: Pino Michienzi (autore, regista, attore ma soprattutto uomo di grande cultura, talento ed umanità), scomparso nel 2011 lasciando un vuoto sostanziale nella scena e nella cultura calabrese e nazionale. Con Michienzi, la De Luca ha dato vita, nel 1986, alla realtà del Teatro del Carro, una compagnia che ha portato sulla scena, in modo profondo ed innovativo, i testi degli autori calabresi e rielaborato i classici del teatro e della letteratura con una visione costantemente originale. Eredità che oggi continua a vivere nella De Luca.
Per info e prenotazioni: www.teatrodelcarro.it; teatrodelcarro@libero.it; cell.3483125747
ottobre 5, 2015 Commenti disabilitati su Donne di ‘ndrangheta, “Teresa” sbarca a Reggio
Giuditta e i piagnistei
REGGIO CALABRIA – Difendere il seminato dai buoi. Il 28 novembre 1946 Giuditta Levato è nei campi di Calabricata per quello. Per mettersi tra la terra assegnata ai contadini e quelli che ci vogliono far passeggiare sopra gli animali. Per sfregio, per dimostrare che, legge o non legge, comunisti o non comunisti, i padroni della terra sono sempre gli stessi, alla faccia dell’anima bella di Fausto Gullo e dei suoi decreti. A difesa di quei semi piantati di fresco Giuditta Levato si piazza con la sua pancia di sette mesi e i suoi 31 anni di contadina calabrese che della terra conosce solo la fatica per averla annusata, da bambina, addosso al padre e alla madre di ritorno dai campi. Per essersela sentita addosso, presto e poi ogni santo giorno mandato da Dio. Per essersi aggrappata a quella polvere e a quel sudore, faticando nei campi di altri, con l’immagine dei due figli piccoli a casa e del marito portato lontano dalla guerra. Poi, un giorno, in paese è arrivato chi ha detto che la terra dev’essere di chi la fatica e a Giuditta è sembrato giusto, come certe cose semplici che uno le capisce pure se non ha studiato. "E che c’è bisogno delle scuole per capire? Se tu barone lasci la terra alle capre è perché hai la pancia piena, allora è giusto che me la prendo io, che la pancia ce l’ho vuota, e la coltivo e ci campo con tutta la mia famiglia invece di partire per Lamerica". Giusto e semplice. Sì, Giuditta Levato quella cosa la capisce, e l’abbraccia, e ci crede.
Dietro ai buoi c’è un fucile e lo sgherro che lo regge. Il colpo parte e non sembra accidentale. Non la colpisce di striscio. No. La prende nel ventre grosso. In ospedale sono in due a morire. I prima di una lista di donne e uomini e ragazzi che c’hanno provato, in quegli anni, a difendere in Calabria la "terza via". Tra servire ed emigrare, lottare, rivendicare i propri diritti, occupare gli spazi, pretendere il rispetto della legge. Di più, come Antonello in "Gente d’Aspromonte", giustizia. Lo sappiamo sulla nostra pelle: non vinsero. Troppa sproporzione nelle forze schierate, più o meno chiaramente, in campo. Dietro lo sgherro, il mezzadro, dietro il mezzadro, il barone, dietro il barone, il prefetto, la Chiesa, il ministro e il presidente che quegli straccioni del Sud li preferisce nelle miniere in Belgio, piuttosto che a piantar grane a casa loro. La valigia sostituisce la bandiera. I buoi passano sul seminato tra l’eco di brindisi nei salotti di città.
Eppure, in un paesaggio inaridito da illusioni, pacchetti vari e fatalismo, i calabresi non hanno mai smesso di piazzarsi davanti ai semi, per difendere il diritto di piantarli e vederli crescere in pace, nella propria terra o nella propria vita. Con la semplicità e l’ostinazione di Giuditta. Di fronte alle armi di altri sgherri, tutti con la stessa faccia, ai loro nuovi "padroni", e ad una filiera invisibile e oscura di accoliti che dai fucili continua a portare ai salotti. Sono caduti in tanti e in tanti ancora resistono sulla "terza via" che la contadina uccisa a Calabricata aveva scelto, su quello stesso fazzoletto di terra tra speranza e sopraffazione, diritto e violenza, bagnato negli anni da troppo sangue di calabresi semplici, ostinati ed onesti. Ignorati da vivi, dimenticati da morti.
E’ vero, oggi dietro quella linea il seminato sembra essersi ridotto sempre di più, mentre attorno il deserto, di uomini, fiducia ed impegno, cresce a vista d’occhio. Divora i paesi e le coscienze. Nelle case si insegna ai bambini che non è terra buona, questa, è che c’è solo da lasciarla ai buoi e partire. Piagnistei, li ha chiamati Matteo Renzi dal Giappone. Simile a certi generali dagli stivali puliti che sferzano i fanti dimenticati sulla linea fangosa del fronte. Infastiditi dalla continua richiesta di rinforzi, indifferenti alla fatica, ai caduti, ai piccoli quotidiani atti di resistenza. Non sa di Giuditta, non sa di Rocco Gatto e di Gioiosa jonica del ’77, non sa di Giuseppe Valarioti che aveva un anno in meno di Giuditta quando lo spararono, non sa dello sciopero a rovescio di Badolato, dei commercianti di Cittanova che hanno denunciato il pizzo, non sa di Cecè Grasso e delle sue mani sporche di grasso, non conosce Rocco Mangiardi e Gaetano Saffioti, che piagnucolare non sanno cosa significhi, non sa dell’urlo contro i boss dei ragazzi ai funerali di Ciccio Vinci, non sa del carattere spigoloso dell’ingegnere Demetrio Quattrone che voleva le cose fatte bene. Si informi, poi venga sulla linea, tra seminato e buoi, a rendere omaggio ai calabresi che ci restano e che ci sono morti sopra. Il 18 agosto saranno cent’anni dalla nascita di Giuditta Levato. Qualcuno glielo segnali.
agosto 5, 2015 Commenti disabilitati su Giuditta e i piagnistei
Gianluca Canonico
http://www.stopndrangheta.it/stopndr/dettaglio.aspx?id=1817
luglio 3, 2015 Commenti disabilitati su Gianluca Canonico
Torna in edicola “Il caso Valarioti”
Giovedì, 25 giugno 2015 esce in edicola nella collana L’Ora Legale de Il Sole 24 ore, Il caso Valarioti. Rosarno 1980: così la ‘ndrangheta uccise un politico (onesto) e diventò padrona della Calabria. Un processo a metà, di Danilo Chirico e Alessio Magro. Il libro, già edito da Round Robin editrice, ripercorre la storia di Giuseppe Valarioti, politico, insegnante, precario, onesto. Ucciso dalla ‘ndrangheta nella notte tra il 10 e l’11 giugno 1980, emblema di un Italia che crede nel cambiamento della politica e della società dal basso ma anche simbolo, con un processo archiviato e mai riaperto, della stessa Italia farraginosa, intimorita e omertosa.
SINOSSI
Giuseppe Valarioti viveva a Rosarno, in Calabria. Era un insegnante precario. Pensava che la politica e la cultura fossero strumenti per sconfiggere la ‘ndrangheta e offrire un’opportunità ai giovani del suo paese. E’ stato ucciso a trent’anni, la notte tra il 10 e l’11 giugno 1980, mentre usciva dalla cena con cui il Pci festeggiava la vittoria alle elezioni. E’ il primo omicidio politico in Calabria, quello che affossa il movimento anti ‘ndrangheta. È il battesimo di sangue della Santa, la nuova ‘ndrangheta, che cambia il destino della Calabria. Per sempre. Una vicenda giudiziaria lunga undici anni: testimonianze coraggiose e ritrattazioni repentine, un superpentito che parla e non viene creduto, interi faldoni smarriti e un omicidio senza giustizia.
giugno 24, 2015 Commenti disabilitati su Torna in edicola “Il caso Valarioti”
Memorie in Aspromonte. Trekking, musica e racconti antindrangheta
REGGIO CALABRIA – Per decenni l’Aspromonte ha rappresentato nell’immaginario collettivo un buco nero, un ventre che ha fagocitato vite, raramente restituendole e nel quale celebrare summit, affiliazioni, accordare alleanze. Trasformata da cronache e racconti infarciti di stereotipi in totem del potere criminale, la montagna della Calabria si era trasfigurata nel fortino impenetrabile della ‘ndrangheta alla quale sola era concesso l’accesso e la conoscenza geografica di boschi e sentieri. Di quella memoria, macchiata dal sangue di vittime innocenti, di padri e di figli mai tornati, la montagna è custode. Ed è proprio da questa memoria che bisogna partire, con l’impegno di chi l’Aspromonte se l’è andato a riprendere, riscattandolo da un’immagine immeritoria e costruendogli attorno una storia diversa, di bellezza e cultura. In questa direzione di riappropriazione del territorio e di riscrittura di un immaginario calabrese si muove "Memorie in Aspromonte. Trekking, musica e racconti antindrangheta", l’iniziativa di Cai (club alpino italiano) e Archivio Stopndrangheta che per tre giorni intreccerà tra Reggio Calabria ed i sentieri dell’Aspromonte musica popolare, trekking, racconti e memoria. Ecco gli appuntamenti da segnare in agenda:
25 giugno – Conferenza del giornalista e scrittore Alessio Magro (Stopndrangheta.it) sul tema "L’Aspromonte dei sequestri" – sede del CAI, ore 21:30;
26 giugno – Suoni e ballate "muttette" d’Aspromonte, verità e stereotipi – Malavenda Café dalle ore 21:30;
28 giugno – Escursione lungo l’anello di Montalto (Rc). Durante l’escursione, che avrà una durata media di 4h, saranno previste dedicate a racconti e rievocazioni di storie legate all’Aspromonte (Alfonso Picone Chiodo – Cai; Francesca Chirico – Stopndrangheta)
giugno 13, 2015 Commenti disabilitati su Memorie in Aspromonte. Trekking, musica e racconti antindrangheta
Cinema e teatro contro le cosche per raccontare una Calabria diversa
E’ prorogata fino al 12 aprile la scadenza del bando per il progetto "Impronte ed ombre. Vite, storie e immagini di vittime della ‘ndrangheta". Cambiano i requisiti di ammissione: potranno partecipare ai workshop tutti i ragazzi tra i 18 e i 35 anni (non occorre essere iscritti all’Università) che risiedono in Calabria, in Sicilia o con regolare permesso di soggiorno. Saranno in tutto quaranta i giovani che avranno accesso a un percorso didattico gestito da formatori di eccellenza. Il laboratorio di comunicazione sarà curato da Claudio Cordova (giornalista) e da Romina Arena (ricercatrice storica), il laboratorio di videomaking da Emiliano Barbucci (cineasta) e Gabriele Morabito (videomaker), il laboratorio teatrale da Lorenzo Praticò (attore) e Anna Calarco (attrice). I contenuti verranno, inoltre, curati anche dall’archivio Stopndrangheta.it in collaborazione con l’Osservatorio sulla ‘ndrangheta. L’obiettivo finale di "Impronte e Ombre" è la ricostruzione e la diffusione delle storie delle vittime della criminalità organizzata, attraverso la creazione e la promozione territoriale di un video documentario e di una performance teatrale.
La domanda di partecipazione, corredata dalla necessaria documentazione, dovrà essere inviata entro il 12 aprile 2015 all’indirizzo email: impronteombre@gmail.com.
Il bando e i moduli necessari sono scaricabili all’indirizzo: "http://osservatoriosullandrangheta.org/bando-progetto-impronte-ed-ombre/"
marzo 14, 2015 Commenti disabilitati su Cinema e teatro contro le cosche per raccontare una Calabria diversa
Riutilizzo sociale dei beni confiscati (legge 109/96)
http://www.stopndrangheta.it/file/stopndrangheta_1813.pdf
febbraio 3, 2015 Commenti disabilitati su Riutilizzo sociale dei beni confiscati (legge 109/96)