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E’ morta Angela Casella, “madre-coraggio” della Locride
PAVIA – Angela Casella, la “mamma coraggio” che nel giugno del 1989 si incatenò nelle piazze dei paesi dell’Aspromonte per sollecitare la liberazione del figlio Cesare, rapito dalla ‘ndrangheta, è morta la scorsa notte a Pavia. La donna aveva 65 anni ed era malata da tempo. Il suo gesto suscitò grande clamore in tutta Italia ed ebbe il risultato da un lato di provocare un più energico intervento dello Stato e dall’altro di risvegliare la coscienza dell’opinione pubblica, quella calabrese in particolare, nei confronti della piaga malavitosa.
NELLA LOCRIDE – Cesare Casella, figlio del titolare di una concessionaria di automobili, all’epoca del sequestro aveva 19 anni: venne rapito la sera del 18 gennaio 1988 poco lontano da casa a Pavia. Il suo fu uno dei più lunghi sequestri, durò in tutto 734 giorni. A nulla valse il riscatto di un miliardo di lire, pagato nell’agosto di quello stesso anno. Anche questo indusse Angela Casella a compire il suo gesto: di fronte all’ennesimo rilancio della banda che teneva ostaggio il ragazzo, “mamma coraggio” cominciò a girare i paesi della Locride (San Luca, Platì, Ciminà) incatenandosi nelle piazze e sollecitando la liberazione di Cesare. Il suo esempio le vale l’ammirazione di tutto il mondo ma non è ancora sufficiente a piegare gli uomini delle cosche. Dovranno trascorrere altri mesi, sarà necessario un lunghissimo braccio di ferro tra la famiglia Casella (che avevano subito il blocco dei beni) e i rapitori per arrivare alla liberazione di Cesare il 30 gennaio del 1990.
dicembre 10, 2011 Commenti disabilitati su E’ morta Angela Casella, “madre-coraggio” della Locride
Blitz da Milano a Reggio, in carcere anche un magistrato e un consigliere regionale
MILANO – Un magistrato, un politico, un avvocato, un medico e un maresciallo della Guardia di finanza sono stati arrestati in Calabria per ordine della procura di Milano. Il maxiblitz contro la zona grigia della ‘ndrangheta è partito da Milano per arrivare a Reggio Calabria. Si tratta dell’operazione "Infinito" scattata questa mattina contro affiliati alla famiglia Valle-Lampada, ma anche contro una serie di professionisti che li aiutavano con i propri servigi. Gli ordini di arresto, chiesti dal pool del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e firmati dal gip Giuseppe Gennari, sono in tutto dieci, nove di custodia cautelare e uno, per Maria Valle (moglie di un presunto boss), di arresti ai domicialiari.
La Dda ha fatto scattare le manette per il giudice del Tribunale di Reggio Calabria Giuseppe Vincenzo Giglio, presidente anche di Corte d’Assise, esponente della corrente di sinistra di ‘Magistratura democratica’ e docente di diritto penale alla scuola di specializzazione di Reggio, accusato di reato di corruzione e di favoreggiamento personale di un esponente del clan Lampada, con l’aggravante di aver commesso questi reati "al fine di agevolare le attività" della ‘ndrangheta. Il giudice sarebbe stato corrotto favorendo la carriera della moglie Alessandra Sarlo, dirigente della provincia diventata commissario straordinario della Asl di Vibo Valentia poi inquisita per mafia. Un secondo magistrato, Giancarlo Giusti, di Palmi (Reggio Calabria), è stato perquisito. Dal 20 settembre scorso Giusti è stato applicato alla sezione penale dal presidente del Tribunale Mariagrazia Arena. Nel novembre del 2009, insieme a una quarantina di magistrati e giudici, tra i quali Vincenzo Giglio, il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, risulta tra i firmatari di un appello lanciato da Libera contro l’ipotesi, all’epoca in discussione in Parlamento, che i beni confiscati potessero essere messi in vendita. Giusti sarebbe stato corrotto con una serie di viaggi e soggiorni a Milano pagati dall’associazione con l’utilizzo di una ventina di escort diverse. Gli inquirenti stanno cercando di capire che cosa il giudice avrebbe dato in cambio al boss Giulio Giuseppe Lampada.
L’inchiesta milanese è stata coordinata da Ilda Boccassini e stamattina è stato arrestato l’avvocato del Foro di Palmi Vincenzo Minasi, che ha lo studio a Como e Milano ed è stato difensore, fra gli altri, di Maria Valle, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione di segreto d’ufficio e intestazione fittizia di beni. In carcere anche Francesco Morelli, componente del consiglio regionale della Calabria, eletto nella lista "Pdl-Berlusconi per Scopelliti", accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione di segreto d’ufficio e corruzione. Morelli è presidente della II Commissione, che si occupa di "Bilancio, programmazione economica ed attività produttive".
"Fateci leggere le carte. Dateci la possibilità di leggere qualcosa. Ancora non abbiamo nessuna notizia", ha detto il presidente della Regione Calabria in merito all’arresto del consigliere regionale Franco Morelli, del Pdl, nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Milano. Questa mattina Scopelliti era a Lamezia Terme, per una conferenza stampa sul patto di stabilità regionale.
Nell’operazione è finito in carcere anche un medico di Reggio, Vincenzo Giglio, cugino del magistrato di Reggio Calabria, avrebbe appoggiato la campagna elettorale di Leonardo Valle, arrestato oggi per associazione mafiosa, che si era candidato in un comune dell’hinterland milanese, senza poi essere eletto. In manette anche il maresciallo della Guardia di finanza, Luigi Mongelli accusato di corruzione. Arrestati anche i presunti boss di clan calabresi, Francesco e Giulio Lampada, Raffaele Fermigno e Leonardo Valle. Inoltre sono stati fermati tre presunti affiliati alla ‘ndrangheta, Gesuele Misale, Alfonso Rinaldi e Domenico Nasso. Misale è accusato di associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni, Nasso di associazione mafiosa e Rinaldi di intestazione fittizia di beni aggravata dalle modalità mafiose. I fermi sono stati eseguiti dalle Squadre mobili di Reggio Calabria e di Milano. Su disposizione della Dda di Reggio Calabria sono stati perquisiti, inoltre, gli studi degli avvocati Francesco Cardone, del Foro di Palmi, e Giovanni Marafioti, del Foro di Vibo Valentia, indagati nella stessa inchiesta.
La Dda di Milano e il gip milanese hanno individuato la competenza territoriale della magistratura milanese per queste indagini perchè il reato al centro dell’inchiesta è quello di associazione mafiosa che riguarda il clan Valle, reato che attira anche gli altri reati ‘satellite’.
La cosca dei Valle. Usura ai videopoker, agganci con il mondo della politica: sono questi gli ‘interessi’ della cosca della ‘ndrangheta dei Valle, strettamente legata a quella dei Lampada, e con base tra Milano e Pavia, documentati nelle ultime indagini della Dda di Milano che nei mesi scorsi hanno portato prima in carcere e poi a processo il ‘patriarca’ del clan Francesco Valle, 73 anni, e alla condanna, tra gli altri, del figlio del boss, Carmine Valle. L’operazione contro i presunti affiliati alla cosca dei Valle, scattata il primo luglio 2010, era stata una sorta di ‘assaggio’ del maxi-blitz coordinato dalla Dda milanese, guidata dall’aggiunto Ilda Boccassini, che alcuni giorni dopo, il 13 luglio, aveva fatto ‘piazza pulita’ delle infiltrazioni della mafia calbrese in Lombardia.
Oltre 170 arresti che, il 19 novembre scorso, si sono ‘trasformati’ in 110 condanne fino a 16 anni di reclusione, una sentenza storica che ha riconosciuto l’esistenza di una ‘cupola’ della ‘ndrangheta al nord. Il processo a Francesco Valle, e a altri due dei suoi figli, Fortunato e Angela, è ancora in corso a Milano e dovrebbe concludersi il prossimo anno, mentre lo scorso settembre si è concluso in abbreviato con condanne fino a 10 anni e mezzo di carcere il giudizio in abbreviato per Carmine Valle e altri quattro. Nell’ambito del blitz del luglio 2010 contro la cosca, su ordinanza sempre firmata dal gip Giuseppe Gennari – giudice anche nell’inchiesta che oggi ha portato a 10 arresti – era stato arrestato anche Francesco Lampada, raggiunto stamani da una nuova misura cautelare.
Dalle indagini però era emerso anche il ruolo di Giulio Giuseppe Lampada, fratello di Francesco e finito oggi in carcere, ritenuto dagli inquirenti una sorta di ‘braccio politico-imprenditoriale’ dei Valle, attivo nel settore delle slot-machine e dei videopoker sparsi per numerosi bar di Milano. Il legame tra i Valle e i Lampada sta anche nel fatto che Maria Valle (da oggi ai domiciliari), la giovane figlia del ‘patriarca’ Francesco, è sposata con Francesco Lampada. Il presunto e anziano capo-clan, che aveva messo in piedi negli anni un giro di racket e usura che ‘strozzava’ decine di piccoli imprenditori lombardi (dai quali non è mai arrivata alcuna denuncia), viveva in una specie di ‘quartier generale’: un ristorante-masseria nella zona sud-ovest di Milano, al confine con Pavia. Con tanto di telecamere e impianti d’allarme per garantire la sua sicurezza.
Dalle indagini era emerso che il clan avrebbe anche ottenuto le licenze per aprire "un mini casino", una discoteca e anche attività di ristorazione" nel comune di Pero (Milano) nell’ambito di un progetto di riqualificazione di quelle aree "in virtù del prossimo Expo", grazie "all’interessamento" dell’assessore comunale di Pero, Davide Valia. "Ma chi è quello che ti spiana la strada, il tuo padrino politico? Chi è il politico?": così poi Fortunato Valle si era rivolto all’epoca, intercettato al telefono, a un altro degli arrestati, Riccardo Cusenza, imprenditore che stava cercando di essere eletto nel 2009 alle elezioni amministrative del Comune di Cormano, nel capoluogo lombardo.
novembre 30, 2011 Commenti disabilitati su Blitz da Milano a Reggio, in carcere anche un magistrato e un consigliere regionale
Giglio, giudice rigoroso ma criticato per amicizie e gestione degli incarichi
REGGIO CALABRIA – Ogni giorno lo si vedeva filare via per i corridoi del Tribunale di Reggio Calabria con la toga sotto il braccio. In scarpe da tennis e jeans. Poche parole e passo spedito. Il giudice Vincenzo Giglio, presidente della Corte d’Assise di Reggio Calabria e della sezione Misure di Prevenzione – che si occupa del sequestro dei beni dell’intera provincia – è sempre stato un magistrato particolare. Una giovane toga nell’aspetto e nello stile di vita, a dispetto dei suoi 51 anni. Personaggio che ha sempre spaccato in due le opinioni sul suo conto. Per lui la Dda di Milano ha confezionato un’accusa pesantissima 1: "Corruzione, favoreggiamento, rivelazione di segreto d’ufficio con l’aggravante di aver agevolato le attività mafiose".
Da una parte Giudice temuto e rispettato per la sua competenza e per il rigore in aula. Dall’altro circondato da un mormorio di fondo rispetto al suo modo di gestire incarichi e amicizie. La sua ultima sentenza è dei giorni scorsi e parla di 21 anni di reclusione a due rom per omicidio. Più in generale non risparmiava condanne di carcere a vita per fatti di criminalità spicciola o anche legati a storie di ‘ndrangheta. Storie che facevano dire di lui che era un magistrato comunque equilibrato sia nel giudizio da esprimere nei confronti di boss e picciotti, sia per poveri cristi incappati nelle tragedie della vita.
Vicende che facevano il paio però con quanto si diceva, ad esempio, sul suo modo di gestire i beni sequestrati alle cosche. Negli scorsi anni avevano fatto discutere gli incarichi affidati a dei professionisti della città per l’amministrazione giudiziaria di aziende e patrimoni. E tuttavia risultava sempre che Vincenzo Giglio aveva agito in maniera assolutamente legittima. Chiacchiere insomma. Da Presidente delle misure di prevenzione, nell’ultimo anno ha emesso numerosi provvedimenti di sequestro nei confronti di affiliati alle cosche della ‘ndrangheta tra cui quelli per 330 milioni di euro al re dei videopoker Gioacchino Campolo e di 190 milioni di euro alla cosca Pesce.
Giglio occupava un ruolo di primo piano nei quadri del Tribunale di Reggio Calabria. Un ruolo che lo portava spesso ad essere anche personaggio pubblico con numerose presenze in qualità di relatore a convegni e tavole rotonde. Frequentatore di feste e circoli importanti della città, Enzo Giglio era anche noto per intervenire spesso nel confronto pubblico. Fino a due anni fa era il referente locale di Magistratura Democratica di cui faceva ancora parte. Docente di Diritto penale alla Scuola di specializzazione per le professioni legali dell’Università statale Mediterranea di Reggio, in passato polemizzò col Procuratore aggiunto Nicola Gratteri, contestandogli la sua tesi secondo cui su Reggio «pende la condanna di dovere essere perennemente circondati e ammorbati dalla ‘ndrangheta». Secondo Giglio, invece, «non è questa l’aria che si respira a Reggio Calabria». Di Gratteri aveva detto «Lo preferisco come come opinionista e sociologo». Lo scorso anno era stato tirato in ballo nell’ambito del procedimento contro il clan Valle di Milano. Nelle carte dell’inchiesta affioravano sia il nome del cugino suo omonimo, che del Consigliere regionale del Pdl Franco Morelli. In quell’occasione aveva preso le distanze dalla vicenda pubblicamente e con fermezza. Da una parte firmava gli appelli di Libera, dall’altra era anche criticato per i suoi apparenti legami con la politica. La moglie Alessandra Sarlo era stata nominata dal governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, commissario dell’Asp di Vibo Valentia. Incarico costato oggi a Morelli l’accusa di corruzione.
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Fra riciclaggio, pizzo e politica la Lombardia in mano ai boss
L’aggettivo "epocale" a volte si spreca, ma non è così in occasione di questa sentenza. Qualcuno ricorderà un filmato, realizzato grazie a una telecamera nascosta dai carabinieri, che ha fatto il giro del mondo: riguardava un bel gruppo di boss della ‘ndrangheta, tutti con carta d’identità e indirizzi lombardi, che approvavano per alzata di mano, e prima del brindisi di buon augurio, il loro nuovo "rappresentante" per la Lombardia. Succedeva nel centro per anziani "Falcone e Borsellino" di Paderno Dugnano.
Dopo le indagini e il processo con rito abbreviato, che prevede sconti di pena, si è arrivati alla prima conclusione di quel brindisi, ed è pesante. Il punto esatto della questione "epocale", però, non è comprensibile se si guarda all’elenco delle 110 condanne. È accaduto "di più": è stata decretata, per sentenza di primo grado, l’"unicità" della ‘ndrangheta. Dalle gabbie si grida "buffoni" ai magistrati, e qualcuno dei detenuti si sente male e viene portato via in sirena, e anche un sindaco viene condannato, mentre si contano le "batoste" patrimoniali sui patrimoni degli "associati". La ‘ndrangheta, che sinora veniva presentata e raccontata come un gruppo di famiglie, più o meno cattive e numerose, ognuna slegata dalle altre, si è ritrovata "allo scoperto".
È stata riconosciuta la sua natura di grande e ramificata organizzazione, simile in tutto e per
tutto a Cosa Nostra siciliana. Con un vertice e decisioni condivise. Succede, ed è insomma un inedito, che da Milano a Reggio Calabria, nelle aule di giustizia, l’articolo 416 bis regga. E regge per varie cosche che agiscono su territori diversi, e hanno capi diversi, ma – questo diceva l’accusa, questo conferma il giudice – se l’intendevano. E molto seriamente. I paragoni con chi è caduto "in guerra" contro l’Antistato, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, suonano spesso stonati. Ma – ricordiamo – è negli anni Ottanta che, a Palermo, venne inquadrata per la prima volta l’esistenza di Cosa Nostra come di una struttura organizzata e ramificata. Si comprese il ruolo della commissione che tutto vedeva, sapeva e ordinava. Prima di allora non esisteva questa visione nitida, si restava frastornati in una nebbia di clan. Finché fu quel metodo di lavoro, approvato nelle sentenze, a incidere nella realtà giudiziaria e nella storia del Paese come il bisturi di un chirurgo.
Oggi, in questo novembre milanese, stessa cosa, ma trent’anni dopo. E più si analizza la situazione, più si comprende come l’inchiesta "Crimine" (così l’hanno chiamata) possa avere ben altre ambizioni. Se la "testa unica" è emersa, che può succedere? Che anche quei mondi di collusi, faccendieri, professionisti, imprenditori, riciclatori e dipendenti statali che trafficano insieme con la ‘ndrangheta (la "zona grigia"), possono rischiare molto di più di un tempo. In procura c’è "grande soddisfazione", dice Ilda Boccassini, procuratore aggiunto antimafia, anche perché "viene riconosciuto il lavoro di anni, e abbiamo la conferma della bravura di una squadra che regge sui sostituti Alessadra Dolci e Paolo Storari".
Risalta, sia dagli atti giudiziari depositati sia dai processi in corso, una sorprendente "piena collaborazione tra i magistrati di Milano e Reggio Calabria. Siamo arrivati – continua infatti la dottoressa Boccassini – alle stesse conclusioni e con Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino e i giovani colleghi giù in Calabria, che operano in territori più segnati dalle tragedie rispetto alla Lombardia, c’è un reale "idem sentire" sulle difficili indagini che abbiamo in corso. Qualcuno, certo, ha criticato la nostra impostazione, e preferisce parlare di faide tra famiglie, di sminuire la ‘ndrangheta, che è mondiale, sino a farla diventare una questione di paese, di piccoli paesi. Ma – conclude il magistrato – anche nei piccoli paesi per noi c’è l’unicità dell’organizzazione".
Parole di Ilda Boccassini, "allieva" di Falcone. E, accanto alle parole, può essere utile citare la fine di un boss: si chiamava Carmelo Novella, viveva al Nord, e stufo di dover rispettare gli ordini calabresi, aveva ipotizzato, manco fosse un Umberto Bossi dei clan, una secessione. Sonda il terreno, chiede consigli ai compari. Un pomeriggio, mentre mangia un bel panino, nel suo pacifico e ricco paese tra Milano e Pavia arrivano in due, con caschi e pistole. Novella non voleva entrare così nella storia: quei proiettili che lo uccidono contribuiscono, più di tante parole, a confermare come funziona la ‘ndrangheta.
novembre 20, 2011 Commenti disabilitati su Fra riciclaggio, pizzo e politica la Lombardia in mano ai boss
Infinito, 110 condanne alle ‘ndrine lombarde
MILANO – Dopo due giorni di attesa si è i è concluso con 110
condanne, fino a 16 anni di reclusione, cinque assoluzioni e quattro non luogo
a procedere (uno per estinzione del reato per morte del reo) il maxi processo
milanese alla ‘ndrangheta. Il gup di Milano Roberto Arnaldi ha emesso il suo
verdetto confermando l’impianto accusatorio sull’esistenza di una cupola
lombarda. Le 110 condanne inflitte agli imputati prevedono pene che vanno da 16
anni ad 1 anno e 4 mesi di reclusione. Quanto alle parti civili il gup ha
rinviato le quantificazioni «in altra sede civile». Il procedimento con rito
abbreviato era stato scelto dai 119 imputati coinvolti a Milano nelle
operazioni "Infinito" e "Tenacia" che con gli arresti del
luglio 2010 hanno smantellato la rete di infiltrazioni ‘ndranghetiste in
Lombardia.
APPLAUSI – La lettura del dispositivo della sentenza che
portato alla condanna 110 persone è stata accolta da fragorosi applausi e
insulti all’indirizzo dei magistrati e anche degli avvocati da parte dei
detenuti seduti nelle gabbie nell’aula bunker di Via Ucelli di Nemi. Il
verdetto è stato atteso per lunghe ore dagli imputati trasferiti dalle carceri
sparse in tutta Italia e che, venerdì, avevano contestato l’annuncio del
giudice di rinviare la lettura della sentenza a sabato.
L’incontro di Paderno Dugnano del 2009 ripreso dai
carabinieri
IL CAPO DEI CAPI – Pasquale Zappia, indicato come il
"capo dei capi" della cupola in Lombardia – "eletto" ai
vertici nell’ ormai proverbiale riunione tra i capi cosca filmata dagli
investigatori il 31 ottobre 2009 nel centro «Falcone-Borsellino» di Paderno
Dugnano (Milano) – è stato condannato a 12 anni di carcere. Il presunto boss è
stato colto da malore in aula, dopo la lettura della sentenza, ed è stato
portato via da un’ambulanza che ha lasciato l’aula bunker a sirene spiegate.
LE CONDANNE – La condanna più alta, 16 anni di carcere
(contro i 20 chiesti dai pm Alessandra Dolci della Dda, Paolo Storari e Ilda
Boccasini), è stata inflitta ad Alessandro Manno, considerato il capo della
"locale" di Pioltello; 14 anni a Vincenzo Mandalari considerato
dall’accusa un altro capo di "locale". Stessa condanna a 14 anni per
Cosimo Barranca, indicato come il boss della cosca di Milano. Dodici gli anni
di carcere, come detto, per Pasquale Zappia. L’ex sindaco del Comune di
Borgarello in provincia di Pavia, Pasquale Valdes, è stato condannato a un anno
e quattro mesi, pena sospesa, per turbativa d’asta. Assolto, come richiesto dai
pm, l’ex assessore provinciale milanese Antonio Oliverio.
novembre 19, 2011 Commenti disabilitati su Infinito, 110 condanne alle ‘ndrine lombarde
E dopo due anni, il sacrificio di Ciccio mette fuorigioco la ‘ndrangheta
http://www.stopndrangheta.it/file/stopndrangheta_1202.pdf
novembre 15, 2011 Commenti disabilitati su E dopo due anni, il sacrificio di Ciccio mette fuorigioco la ‘ndrangheta
Nazionale a Rizziconi, festa per gli azzurri
RIZZICONI – "Una giornata storica". Cesare Prandelli ha definito così la visita della sua Nazionale al campo di calcetto di Rizziconi, in provincia di Reggio Calabria, su un terreno sequestrato alla ‘Ndrangheta nel 2003, dove gli azzurri si sono allenati nel primo pomeriggio. Di fronte a circa un migliaio di tifosi festanti, soprattutto ragazzini, delle scuole del paese (circa 8000 abitanti) e del circondario, tra cui quelli della scuola calcio locale e persino dei ragazzini dell’Atletico Zen, squadra di calcetto dell’omonimo quartiere degradato di Palermo, gli azzurri sono apparsi dapprima emozionati, poi divertiti, di sicuro veri.
EMOZIONI — Senza il costume di scena – la maglietta azzurra e i pantaloncini corti, o meglio con una pettorina colorata arancione, bianca, gialla e viola a contraddistinguere le 4 squadre che hanno giocato un mini torneo, come ragazzi qualunque in un impianto qualunque – hanno mostrato le loro emozioni senza schermi, stavolta. Imbarazzati, quasi impacciati, di fronte a racconti drammatici come la testimonianza dei genitori del piccolo Domenico Gabriele, Giovanni e Francesca ("sono stata minacciata anche ieri", ucciso da una pallottola vagante mentre giocava a calcetto, o ai moniti di Don Luigi Ciotti, l’anima dell’associazione antimafia Libera, e ideatore dell’evento, che ha ricordato come questa fosse purtroppo la terza inaugurazione del campo di Rizziconi. Perché i problemi non si risolvono solo con una bella giornata, ma c’è sempre un dopo.
LIBERTA’ — Poi l’imbarazzo "ci siamo sentiti piccoli" ha ammesso Marchisio, di fronte a realtà e problematiche immensamente più grandi, si è trasformato in gioia pura, quando gli azzurri si sono trovati a giocare 5 contro 5, senza pressioni, provando giochetti da partitella tra amici, ridendo, scherzando, tirandosi per la maglia. Un contesto tutto tranne che normale si è trasformato nel trionfo della loro normalità. "Sono scesi in campo i valori della libertà: il grimaldello per combattere la criminalità in queste realtà credo sia conoscere la storia di ogni paese o città, per riuscire così a smuovere le coscienze" ha dichiarato Buffon. E se c’era chi diceva, tra la folla: "E’ solo una giornata, poi purtroppo la realtà quotidiana non cambia", la maggioranza rumorosa – che il chiasso dei bambini è il rumore più bello del mondo -, era fiduciosa come solo le giovani generazioni sanno essere. Rinfrancate dalla presenza dei propri idoli. Per la cronaca il torneo di calcetto lo ha vinto ancora lui, l’uomo del momento, Mario Balotelli. Sorriso sempre pronto ad esplodere – ed è un copione ben diverso da quello solitamente riservato ai giornalisti -, che in occasioni così – come anche per la visita al carcere di Sollicciano, a Firenze – Mario sa sempre tirar fuori la parte migliore di sé. Speriamo ci riesca anche Rizziconi, per più di una giornata da ricordare.
novembre 13, 2011 Commenti disabilitati su Nazionale a Rizziconi, festa per gli azzurri
Gratteri: un gol a casa dei mafiosi
ROMA – L’ultimo contropiede lo hanno messo a segno i carabinieri di Reggio, arrestando Sebastiano Pelle, capo dell’omonimo clan di San Luca: ma non c’è dubbio che in Calabria la partita sia ancora in mano alla ‘ndrangheta. Domani però la squadra del Bene schiera la nazionale, e chissà che non si registri il primo successo concreto dell’era Prandelli.
A Rizziconi, nella piana di Gioia Tauro, in un Comune ad altissima densità mafiosa e attualmente commissariato, gli azzurri si alleneranno su un campo di calcio confiscato alle cosche e finalmente – grazie all’opera dell’associazione Libera di don Ciotti – consegnato ai ragazzi. "Sarà una cosa simbolica, certo – dice all’Ansa Nicola Gratteri, procuratore aggiunto a Reggio Calabria, membro della Direzione distrettuale antimafia e soprattutto indiscusso numero 1 nella lotta alla ‘ndrangheta – ma sapeste che valore possono avere quaggiù certi segnali”. ”Il calcio – spiega ancora il magistrato – è un grande veicolo contro le mafie, come pure la musica: insegnare ai ragazzi a suonare uno strumento è educativo. Stessa cosa per il pallone: dovere imparare a tirare in porta, a fare gol o a difendere li impegna e li allontana dalla prospettiva di diventare garzoni di ‘ndrangheta. I bambini di oggi sono spugne, sono migliori rispetto a 15 anni fa, ma il problema è che nessuno intercetta il loro bisogno di modelli positivi. E nel calcio per fortuna ce ne sono molti”. Si’, tutto vero: ma la Nazionale sbarca a Rizziconi, fa il suo show in diretta tv e subito riparte.
Cosa resta dopo? ”Intanto tre ore sono meglio di niente, e comunque rimane il ricordo: che aiuta a credere di potercela fare”. Non dice, Gratteri, se domani sara’ in tribuna anche lui: ”Vorrei, ma non posso dire niente sui miei spostamenti”. Su una cosa pero’ ha certezze: ”In giro sara’ pieno di ‘ndranghetisti, a loro come a tutti al Sud, il pallone piace. E poi lo utilizzano a scopo di ostentazione, di visibilita’. La mafia fa schifo, e’ il titolo scelto dai ragazzi al mio ultimo libro, ed esiste dove c’e’ denaro e potere. I soldi li fa con traffico di cocaina, estorsione, usura ed appalti. Ma quando serve la visibilita’ e il consenso li trova attraverso lo sport e la religione.
Gli ‘ndranghetisti si fanno avanti per ristrutturare chiese, per gestire le processioni: uguale per il calcio, un capocosca o un suo uomo è sempre presidente della squadra. A vedere la partita va la gente che conta, il farsi vedere nella stessa tribuna della classe dirigente è per loro positivo. I capicosche sono gli artefici dei successi, investono soldi per comprare giocatori. Poi arriviamo alle iperboli, uno dei Pesce giocava nel Cittanova, era il capitano: e chi gliela contendeva la fascia? Altra storia e’ quella dei minuti di silenzio: per la morte del boss Cordi’ a Locri; e poi quello a San Luca per la morte di Gambazza, uno dei Pelle. Comunque, gestire squadre e’ un lusso, le mafie possono farsi avanti perche’ hanno liquidita’. Si presentano come modelli vincenti”. Piace anche a lui, il pallone: eppure non puo’ andare allo stadio (”un sogno inappagato, metterei a repentaglio la sicurezza di tutti”), e ha dimenticato l’ultima volta che ha giocato.
”Da ragazzo ero un centrocampista di fatica”. Ora invece in un certo senso e’ un regista: ”E’ vero, coordino anche 20-30 inchieste. Da oltre 20 anni vivo in cattivita’, sempre scortato. E il mio rapporto con lo sport e’ atipico: mi ‘alleno’ zappando l’orto la domenica”. Parla di calciatori con proprieta’ e competenza : ”Una volta ero juventino, il mio idolo era Anastasi, quanti sogni mi ha regalato. Ora non tifo più, i calciatori cambiano squadra addirittura a metà campionato: a me invece piacciono le bandiere”.
Ma un ultimo regalo ai campioni del calcio lo chiede: ”Il mio auspicio è che i bambini rimangano folgorati per la Nazionale a Rizziconi, che i bimbi trovino lo scatto d’orgoglio per innamorarsi di esempi puliti e vincenti. Gattuso, Buffon e gli altri nazionali possono salvarli. Gattuso ha grande seguito, è un modello positivo: partito dal basso in Calabria, con grinta e determinazione è risultato un modello positivo. E poi è molto vicino ai giovani non solo nel firmare gli autografi, ma proprio in maniera concreta. Per gli adulti invece non c’è speranza: mi interessa poco, ormai le scelte di campo sono state fatte, chi è onesto è onesto, chi no giochera’ sempre per la squadra del Male”.
novembre 12, 2011 Commenti disabilitati su Gratteri: un gol a casa dei mafiosi
La “Marcia della Pace” in un santuario mafioso
REGGIO CALABRIA – Ad Archi, in tanti, da tutta Italia contro la mafia. Nel cratere più turbolento del vulcano criminale, nel quartiere-casbah, tutto mattoni, cemento e degrado, da cui si diparte la guerra intercosche, migliaia di persone oggi marceranno per testimoniare solidarietà alla gente onesta costretta a vivere sotto il tallone dei boss e per chiedere che lo Stato non arretri ancora davanti all’ incalzare della violenza, davanti all’ assalto dei clan. Carovane di auto, centinaia di pullman, treni speciali arrivano a Reggio da nord e dalla Sicilia: alla tradizionale marcia per la pace Perugia-Assisi, quest’anno è stata sostituita una marcia antimafia nazionale, partita da Milano e da Palermo, con terminale proprio a Reggio. "Siamo a Reggio per mischiarci con le forze locali per combattere la mafia", ha detto Giovanni Bianchi, presidente nazionale delle Acli, l’associazione che con l’Arci organizza la marcia, "e ho notato che tra giovani c’è una grande volontà di riscatto". marcia, "e ho notato che tra giovani c’è una grande volontà di riscatto". Combattere la mafia, dunque, equivale a combattere per la pace. E le carovane dei "pacifisti", con un itinerario particolarmente significativo, in questi giorni hanno toccato i centri-simbolo del bubbone mafioso. Da Milano, a Roma, a Villa Literno, a Caserta, a Napoli, a Castellammare di Stabia, da Palermo a Capo d’Orlando e a Gela, prima di arrivare a Reggio città teatro di una guerra di mafia che in cinque anni ha fatto più di duemila morti. Reggio, come Palermo e Napoli, è una città disperata, mal governata, senza speranze. Il sindaco dice che il 20 per cento del consiglio comunale è espressione delle cosche e non accade nulla. Qualcuno aggiunge che le tangenti sono di casa al palazzo municipale e tutto va avanti come se niente fosse. Ci sono poi 150 morti nel Reggino dall’inizio dell’anno, la città sembra un campo di battaglia, la guerra infinita si estende e porta, in tutta la Calabria a 221 il numero dei morti ammazzati, e lo Stato assiste impotente. Questa mattina a Reggio gli organizzatori prevedono oltre diecimila persone. Sfileranno dai quartieri a sud della città fino ad Archi, poi la manifestazione si concluderà al parco Pentimele, con un concerto di Gino Paoli. In piazza Duomo si aggregherà ai manifestanti anche il nuovo vescovo metropolita, ultimamente criticato per aver speso poche parole contro la piovra mafiosa, facendo etichettare la chiesa reggina, già in prima fila nella lotta alle cosche, come "chiesa del silenzio". Alla testa del corteo non ci saranno questa volta i politici. Non li vogliono. Se vogliono marciare si dovranno mescolare alla gente comune. Ieri c’è stata una "convenzione" di preparazione. Il presidente delle Acli, Bianchi, e quello dell’ Arci Giampiero Rasimelli, sono andati nelle scuole a parlare con i giovani. Otto gruppi di lavoro hanno preparato altrettanti documenti. La proposta radicale scaturita è quella di sospendere il porto d armi a tutti gli italiani e contemporaneamente di evitare la militarizzazione del territorio da parte delle forze dell’ordine. In ogni caso è stato giudicato positivo il decreto di scioglimento di diversi consigli comunali. Messaggi di adesione sono arrivati da tutta Italia. Pina Maisano, vedova di Libero Grassi, idealmente si dice presente anche se si mostra un po’ scettica: "Dovremmo impegnarci come singoli prima che come collettività nel nostro lavoro onesto, nel rifiuto di ogni ipocrita mediazione".
ottobre 5, 2011 Commenti disabilitati su La “Marcia della Pace” in un santuario mafioso
Sangue e appalti. Due omicidi anche in Calabria
http://www.stopndrangheta.it/file/stopndrangheta_1103.pdf
settembre 26, 2011 Commenti disabilitati su Sangue e appalti. Due omicidi anche in Calabria






