>

Sale sulla ferita

REGGIO CALABRIA – Serviva una risposta forte, chiara e inequivocabile allo schiaffo di Oppido Mamertina (la statua della Madonna delle Grazie portata in omaggio al vecchio boss). E il "chiuso per inchino" era stato auspicato da molte parti, con argomentazioni a volte poliziesche e sbrigative. Indifferenti o non consapevoli, tutti, del fatto che in certi paesi il problema fosse stato risolto da anni (Polistena), che in altri fosse stata recentemente ingaggiata una lotta per depurare le processioni dalle scorie tossiche della presenza ‘ndranghetista (Sant’Onofrio, Stefanaconi), che in altri ancora, ne sono certa, parroci lontani dai riflettori abbiano affrontato musi duri e minacce, rifiutando inchini. Lo schiaffo di Oppido ha solo ricordato che il problema, in alcune zone della Calabria, sta sempre lì, come gli ‘ndranghetisti, sotto la statua della Madonna. E quello schiaffo, è vero, pretendeva una risposta. Eccola. Nella diocesi di Oppido-Palmi processioni sospese a tempo indeterminato. Impressionante sul piano emotivo. Ma è una risposta forte, chiara e inequivocabile? A me fa pensare a quel maestro che sospende tutta la classe, anche se dentro di sé lo sa – e come se lo sa! – chi è stato sbagliare, a dare quello schiaffo, a strappare il registro, perché i suoi ragazzi li conosce uno per uno. E sa pure che quella nota non servirà a fare diventare più coraggiosi i compagni che stanno zitti. Li farà sentire solo due volte vittime. Del bullo e dell’autorità. Ecco, diciamo che il direttore ha deciso di sollevare i maestri della scuola dal peso, dalla responsabilità e dai rischi della decisione. Alunni tutti sospesi. Dicono che i parroci abbiano applaudito alla decisione. No, non c’è forza in questo. O, meglio, non è un’immagine di forza che comunica. E non c’è chiarezza perché non fa distinguo. Ed è equivocabile perché non fa distinguo. E quindi rischia di spargere sale sulla ferita, alimentando vittimismo e rassegnazione, laddove serviva far scorrere il disinfettante più aspro. Mettersi sotto le statue della Madonna e dei Santi e portarsele sulla schiena con tutti i parroci della diocesi. Oppure affidarle a chi di pesi sulla schiena se ne intende: ai testimoni di giustizia, ai figli e alle figlie delle vittime di ‘ndrangheta, ai commercianti e agli imprenditori sotto scorta, alle ragazze e ai ragazzi che sulla Piana ci credono e s’impegnano per un’altra Calabria. Bastava questo a dire che no, non siamo tutti uguali. E il nome di chi ha sbagliato (portantini, preti, componenti del comitato…) lo sappiamo e lo facciamo. Gli altri, quelli che stanno zitti, quelli che stanno sugli spalti, avrebbero capito, ne sono certa. Forse qualcuno si sarebbe pure alzato, lasciando il suo vecchio posto da testimone muto per mettersi sotto la statua, da cittadino che non vuole fare inchini. Lo so, un azzardo. Ma se è vero, come diceva don Italo Calabrò, che "nel coraggio dei suoi pastori la gente ritrova il suo coraggio", è di pastori che azzardano che i calabresi non hanno mai avuto così tanto bisogno.