Celestino Fava, vittima innocente e senza giustizia
PALIZZI – C’è e ha visto. La mattina del 29 novembre 1996, nelle campagne di Palizzi, Celestino Fava è colpevole di esistere. Di essere spuntato come un elemento inatteso tra i piani di chi, quel giorno e quell’ora, li aveva scelti da tempo per ammazzare Nino Moio, l’amico che per un caso sta accompagnando. E’ una "variabile" umana che non merita ripensamenti, che non riceve salvacondotti o sconti. Lo troveranno ad un centinaio di metri di distanza da Moio, uccisi entrambi a colpi di fucile. A sommarli, gli anni che si portavano addosso, non erano neppure cinquanta.
In quei giorni il balletto delle "colpe" si accompagna, come sempre, allo sconcerto e alla solidarietà. Nelle ricostruzioni dei giornali e nel chiacchiericcio delle case le ipotesi si rincorrono: sgarro, questioni di donne, vendetta trasversale, pascolo abusivo. Un copione frequente in Calabria, dove sul banco degli imputati, nell’attesa, troppe volte delusa, di trascinarci gli assassini, ci finiscono prima le vittime e i loro familiari. Solo che a casa Fava, se ti metti a scavare, trovi solo sudore e dignità. Lo capiscono subito i carabinieri. Lo capisce subito il giovane sostituto procuratore di Locri, Francesco Cascini, appena arrivato in Calabria. I 22 anni di vita di Celestino non hanno ombre. Sono un album di foto di famiglia in cui tutti sorridono: papà Totò che fa il ferroviere, mamma Anna e Antonino, il gemello di Celestino. Due gocce d’acqua. Gli amici, con il tempo, hanno imparato a distinguerli da un piccolo neo che Celestino ha sul mento. Gli studi superiori a Brancaleone, il servizio militare, l’iscrizione all’università, il volontariato. La vita del ragazzo scorre come un fiume tranquillo. Ha acque cristalline. Fino alla mattina del 29 novembre 1996.
Nino Moio suona il campanello di casa Fava. Ha 27 anni, nessun precedente e aiuta il padre nel lavoro dei campi. Come ogni mattina deve raggiungere la porcilaia in contrada Guni, nelle campagne di Palizzi, e cerca un amico che gli faccia compagnia. Celestino salta dal letto. Pochi istanti e i due ragazzi sono in macchina, costeggiano i campi, si allontanano dal centro abitato. Sul posto Nino scende e va ad accudire gli animali. Celestino resta vicino all’auto. Le indagini parleranno di una jeep con a bordo due persone. Di certo l’agguato era stato studiato da tempo. Studiate le abitudini e i tempi della vittima designata. Il primo a morire è Nino Moio, fulminato vicino al recinto della porcilaia. Poi il killer, forse tornando sui propri passi, si accorge di Celestino. Un testimone scomodo. Un testimone da neutralizzare. Fa fuoco e uccide una seconda volta.
Per Celestino e Nino sarà proclamato il lutto cittadino. In memoria di Celestino e Nino il 2 dicembre scenderanno in strada anche gli studenti dell’istituto tecnico commerciale di Brancaleone frequentato dal ragazzo. Con il trascorrere dei mesi, degli anni, lo sdegno e il ricordo, però, si stempereranno fino a scomparire. "Manca solo l’ultimo tassello, ormai abbiamo il quadro chiaro", garantisce Cascini a Totò e Anna che per mesi frequenteranno solo la tomba del figlio, nel cimitero di Palizzi, e le scale del tribunale di Locri. L’ultimo tassello non è mai arrivato. Le indagini sul duplice omicidio di Celestino Fava e Antonino Moio sono state archiviate. Ai Fava non è rimasto che il cimitero. E per anni da casa ci usciranno solo per trascinare il dolore davanti alla lapide di Celestino. Due, tre volte al giorno. Qualche volta anche di notte. Cancellati alla vita. Fino alla breccia aperta dall’incontro con altri familiari di vittime innocenti della Locride. Fino al cammino di condivisione e testimonianza che Anna e Totò Fava, nel nome di Celestino, hanno intrapreso e stanno percorrendo a fianco di Libera. In tenace attesa che alla memoria possa unirsi, un giorno o l’altro, anche la giustizia.