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I guai di don Nuccio, imputato per falsa testimonianza

REGGIO CALABRIA – "Qualche giorno dopo don Nuccio, vedendo passare mia moglie, la fermò […] dicendole che continuare nella associazione avrebbe comportato il rischio di subire un altro incendio alla nostra attività…”.

Tiberio Bentivoglio, imprenditore reggino titolare della sanitaria "Sant’Elia”, racconta così agli inquirenti della Dda reggina il ruolo che don Nuccio Cannizzaro avrebbe avuto nella vicenda che lo portò a subire, nell’arco di pochi anni, due incendi dolosi alla propria attività commerciale e un attentato alla propria vita. Don Nuccio Cannizzaro non è un anonimo prete di periferia.Cappellano della Polizia municipale e gran cerimoniere del vescovo di Reggio, Vittorio Mondello, è un sacerdote molto noto a Reggio Calabria, che però non ha mai smesso di interessarsi della propria parrocchia di Condera. "Lavorare in una parrocchia come quella mia – dichiara il sacerdote interrogato dai pm reggini nell’aprile 2011 – è difficile! Il problema di fondo è che noi siamo persone fondamentalmente sole che dobbiamo combattere con una mentalità mafiosa difficile da sradicare e quello che dobbiamo fare noi come preti è quello di cercare intanto di ascoltare tutti”.

Ma questo "ascoltare tutti”, secondo la procura di Reggio e secondo il Gup che lo ha rinviato a giudizio per falsa testimonianza, comprenderebbe anche le voci di Santo Crucitti e Salvatore Mario Chilà, ritenuti rispettivamente ”capolocale” e luogotenente della ‘ndrina di Condera, orbitante attorno alla ”galassia” criminale Tegano-Condello, dedita soprattutto all’edilizia e, come risulterà dalle stesse intercettazioni dell’operazione ”Raccordo-Sistema”, non priva di frequentazioni politiche. La vicenda, però, merita di essere ricostruita con ordine.

L’inchiesta – L’11 aprile 2011 don Nuccio Cannizzaro viene indagato nell’operazione ”Raccordo” nella quale finiscono in manette, tra gli altri, proprio Crucitti e Chilà. Per i due l’accusa è di estorsione e associazione mafiosa (Crucitti ha già subito una condanna definitiva) perchè ”avvalendosi della forza di intimidazione che scaturisce dal vincolo associativo – recita il dispositivo emanato dai pm – e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà" avrebbero conseguito alcuni importanti vantaggi. In particolare "patrimoniali dalle attività economiche che si svolgevano sul territorio, o attraverso la partecipazione alle stesse, ovvero con la riscossione di somme di danaro a titolo di compendio estorsivo”. L’accusa contro il sacerdote è quella di avere rilasciato falsa testimonianza nella sede processuale in cui, nel 2010, era stato condannato lo stesso Crucitti (e la testimonianza del prelato dichiarata inattendibile), allo scopo di favorire la posizione giudiziaria del boss di Condera.

Nel processo che condanna Santo Crucitti per associazione a delinquere di stampo mafioso, però, non testimonia soltanto il sacerdote, ma anche Consolato Marcianò. Anche le sue dichiarazioni verranno definite ”chiaramente compiacenti” e colui che doveva essere il promotore assieme a Tiberio Bentivoglio dell’iniziativa sociale sgradita ai boss, va a sfogare la paura di ritorsioni da parte di Crucitti proprio dal prete del rione: ”(…) sapete come è andata a finire? (inc…) – dice Marcianò a Don Nuccio – …che Santo mi ha chiamato e ni vittimo (e ci siamo visti ndr) a piazza Carmine, pigghiau e mi dissi (e mi ha detto ndr): La DEVI PAGARE TU SE MI AZZICCANO, MI ATTACCANO INTRA (mi arrestano ndr) .Ci dissi; vai, vai leggiti i cosi (vai a leggerti le cose ndr)…vai a leggerti i cosi, come ti ho testimoniato tre volte a favore tuo (…)”. "…ma io gli ho detto che quando sei venuto tu, gli ho fatto le dichiarazioni per lui, per aiutarlo…lo aiutai…" – risponde don Nuccio – "(…) è venuto, è venuto a dirmi, tu, che, che Crucitti si è incontrava ….inc… chi è sta cosa? E tu ci dicisti e va bo’, basta finiu u film, non ti ha minacciato e non ti ha fatto niente. Io gliel’ho detto(le voci si accavallano Consolato tenta di intervenire)non ti ha minacciato(…)ti ha minacciato?..no! non ti ha minacciato(…)". Secondo gli inquirenti, è chiaro l’intento del sacerdote di mettere ”pace” e di proteggere l’operato del boss nonostante avesse saputo delle nuove minacce subite da Marcianò per avere tentato di avviare della attività sociali e ricreative nel proprio quartiere attraverso l’associazione ”Harmos”.

Oggi don Cannizzaro attende giudizio per quello che, per un uomo di Chiesa, sarebbe un peccato mortale, oltre che un reato gravissimo: falsa testimonianza. Se le accuse dovessero essere confermate, significherebbe che il noto sacerdote sarebbe andato ben oltre l’omertà, assicurando un sostegno fattivo a un uomo che tutti i pentiti, e una sentenza di primo grado del Tribunale di Reggio Calabria, riconoscono unanimemente come estorsore e ‘ndranghetista.