La “rota”, il ricino e la bellezza dell’altra Calabria
REGGIO CALABRIA – Ragazzi in cerchio ed un uomo con la sua chitarra che li allieta con una canzone. Sguardi, storia, emozioni che si intrecciano a ritmo della stessa melodia. Quest’uomo è un cantastorie, è Giovanni Favasuli, esperto e conoscitore della cultura grecanica che incanta questo piccolo pubblico con una delle sue poesie "Facimu rota". Ci troviamo in quel di Pentedattilo, dove si sta svolgendo un campo lavoro che coinvolge molti ragazzi altoatesini e una piccola rappresentanza della popolazione locale, io e Chiara. Il cerchio, la "rota", secondo me è la parola chiave del nostro percorso: è nel fare cerchio che ognuno prende una posizione, si mette in gioco, tira fuori ciò che di buono ha per condividerlo con gli altri. Io e Chiara ci siamo avvicinate a questa realtà grazie al gruppo Libera Giovani e abbiamo subito risposto con entusiasmo alla proposta di partecipare a questo campo. È proprio lo stesso entusiasmo che mi ha accompagnata per tutta la settimana e che mi spinge adesso a scrivere poche righe per condividere questa meravigliosa esperienza. Il contatto con ragazzi e ragazze lontani dalla realtà calabrese mi ha permesso di guardare con occhi diversi il contesto in cui vivo, riscoprendo una bellezza che ho sempre trascurato. Credo sia proprio questo l’errore di noi calabresi: sottovalutare. Sottovalutare la nostra terra, le nostre tradizioni, la nostra cultura e soprattutto noi stessi. Forse proprio grazie a questa condizione la ‘ndrangheta ha messo radici, apparendo come l’unica via per sopravvivere e paradossalmente come unica fonte di sviluppo. In questa settimana ho incontrato tante persone tutte diverse: esponenti delle forze dell’ordine, imprenditori che si sono ribellati al pizzo, coordinatori di associazioni, scrittori, giornalisti, volontari. Nei loro occhi ho letto la voglia di cambiare, l’immagine di una Calabria che spera, che "fa sorgere il bene". Le nostre giornate sono state scandite dalla raccolta nei terreni confiscati alla mafia del ricino, una pianta infestante dalle radici insidiose che metaforicamente potrebbe rappresentare il fenomeno della ‘ndrangheta: l’impegno nell’estirpare la "malapianta" che attecchisce nel suolo arido e la speranza, che nonostante il caldo e la fatica, ci spinge a continuare. Anche i ragazzi altoatesini sono stati rapiti dalla bellezza della Calabria: il mare, il sole, le colline brulle, l’accoglienza della gente. Adesso abbiamo un motivo in più per lottare e sappiamo che nella battaglia contro la ‘ndrangheta i nostri amici altoatesini sono con noi. In questi giorni ho sperimentato la bellezza di conoscere, di scoprire, di creare legami, di lottare e mi impegnerò a difenderla perché come dite voi di stop’ndrangheta: "Un altro Sud può ancora esserci".