Gli anarchici di Africo e le persecuzioni degli anni 70 – Lettera aperta al giudice Frammartino
AL GIUDICE FRANCESCO FRAMMARTINO
TRIBUNALE di LOCRI
Signor giudice,
mi chiamo Rocco Palamara e sono di Africo.
Verso la fine del 1970, 42 anni fa, insieme a mio fratello e a mio cugino ho avuto la sfortuna di fare la Sua conoscenza. Io allora avevo 22 anni e facevo il fornaio; mio fratello Bruno e mio cugino Salvatore Palamara erano studenti ed avevano, rispettivamente, 17 e 16 anni.
Allora mio cugino, ferito a pistolettate sull’uscio di casa mia in un raid di mafiosi, fu malconsigliato da suo padre, onesto e ignaro cittadino, a denunciare il fatto ai carabinieri; ed io sostenni le sue accuse con la mia deposizione, autodenunciandomi a mia volta per il fatto che anch’io sparai, per rispondere al fuoco in nostra difesa. Anche io allora mi ero affidato alla Giustizia; ma non l’avessi mai fatto, perché così facendo finimmo in balia delle Sue decisioni di Giudice Istruttore e di quelle di Guido Neri che per prima cosa ci faceste arrestare e poi ci trattaste come se fossimo stati noi gli aggressori ed i mafiosi. Dei tre picciotti che ci avevano assaliti uno era un fratello di Giuseppe Morabito u Tiradrittu (all’epoca sotto processo per la Strage di Locri) e gli altri due entrambi dei criminali recidivi, chi figlio, chi fratello di assassini; ma, per Lei ed il Pubblico Ministero Guido Neri, loro erano una banda di malavitosi e noi (in quanto anarchici) un’altra banda di malavitosi ancora più pericolosi. Per cui, nell’inqualificabile istruttoria che Lei ha partorito:
– il fatto che l’aggressione era avvenuta sul davanzale di casa mia non contò nulla perché, secondo la Sua esilarante teoria, quello era un posto come una altro; dove saremmo tutti “convenuti” per la resa dei conti finale;
– il fatto che alla prima aggressione seguì un’altra (quando in pieno giorno e in pieno centro di Africo uno dei precedenti aggressori mi si accostò alle spalle sparandomi a tradimento) non fu tenuto in nessuna considerazione;
– il fatto che eravamo stati noi a denunciare neanche contò nulla, tanto che le parole degli avversari (che per giustificarsi dissero che li avevamo assaliti noi) furono equiparate alle nostre in quanto a credibilità;
– il fatto che a sostegno delle nostre dichiarazioni deposero 11 testimoni, mentre dall’altra parte nemmeno uno testimoniò a loro favore, non valse nemmeno;
– il fatto che un testimone sostenne che mio fratello era in un altro posto al momento della sparatoria (perché nemmeno c’era nello scontro!) non servì a nulla;
– il fatto che l’accusa di aver sparato riguardava solo me, mentre per mio fratello e mio cugino era quella di essere stati solamente presenti al fatto (a casa mia, ripeto), non bastò a dispensarli, almeno loro due, della grave accusa di “tentato omicidio aggravato”, perché lei li ha trascinati a processo con la medesima imputazione: “Per apporto psichico”!;
– il fatto che più di 1.000 studenti delle scuole di Locri sono scesi in piazza per protestare, reclamando la nostra liberazione (30 Aprile 1971, la prima manifestazione antimafia in Italia) fu considerato un episodio di “gioventù deviata”!
Lei non solo non concesse a nessuno di noi la libertà provvisoria ma, caratterizzandosi per l’esasperante lentezza (ha cominciato ad interrogare i testimoni dopo 4 mesi e ha finito dopo 6 mesi), ha fatto in modo che il processo si svolgesse ben 19 mesi dopo il nostro arresto. Alla fine persino i suoi colleghi della Corte d’Assise, davanti alla quale Lei ci aveva trascinati, ebbero a bocciare il suo operato, perché nella loro pur contestata sentenza assolsero mio fratello e mio cugino. E ciò malgrado nemmeno quelli furono giusti fino in fondo: furono molto teneri con i mafiosi ed a me non concessero la legittima difesa.
Alla lettura della sentenza gli studenti, mobilitati per il processo, protestarono e i carabinieri – presenti in gran forza – li caricarono duramente arrestandone sei. Anche loro pagarono per l’assurda ambizione di voler vivere in una Calabria senza mafia.
Tornando al fatto più grave di mio fratello e di mio cugino, da qualunque lato la si veda, Lei dovrebbe averli sulla coscienza per tutto il carcere che gli ha fatto fare da innocenti. Ragazzi di 16 e 17 anni! Ma – a proposito! – all’uscita dall’aula dopo la lettura della sentenza, non si è vergognato neanche un po’, dr. Frammartino?
In ogni modo, del fatto che la sua coscienza è sporca, sono qua io a ricordarglielo davanti a tutti; anche 42 anni dopo.
Il suo “errore” non disturbò i tenutari del Potere Costituito nelle sue varie diramazioni, ché ben gli stava allora il suo esecrabile operato (ad esempio: il Presidente del Tribunale non mosse un dito per fermare l’infamia); per cui Lei ha continuato a galleggiare facendo gran carriera, fino a diventare vicepresidente del Tribunale stesso. Alto magistrato, dunque! Ma non per questo Lei è un genio, e neanche un “genio del male” perché, come si dice dalle nostre parti: una sola noce in un sacco non scruscji; e nemmeno due noci (lei e Guido Neri) avrebbero potuto farlo se non fosse che lo stesso Tribunale di Locri era, ed è stato per decenni, un nido di serpi.
Nel proseguo della persecuzione contro la mia famiglia nel 1974 altri magistrati dello stesso Tribunale hanno inquisito (senza alcun valido motivo) e condannato a ben 5 anni di carcere ciascuno due dei miei fratelli, studenti universitari, quali mandanti del TENTATO incendio di una macchina a Bruzzano (proprietario: un amico di don Stilo). Ciò ripiegando dalla primaria accusa che li voleva esecutori diretti, ma che era diventata insostenibile quando i miei fratelli poterono dimostrare che non erano nemmeno in Calabria al momento del (non) fatto.
Quanta solerzia da parte dei suoi colleghi Bambara, Origlia e Staltari! Gli stessi che nel 1977, con un’istruttoria inqualificabile sotto ogni punto di vista, hanno di fatto consentito che restassero impuniti i mafiosi assassini di Leo Borrello (anche egli di Africo e nemico della mafia), trucidato in carcere davanti a 60 testimoni.
Quella della mia famiglia (costretta grazie alla mafia, ai carabinieri e a voi giudici a fuggire dalla Calabria) è stata forse solo una piccola tragedia, ma quanto altro danno avete fatto voi del Tribunale di Locri che Lei personalmente – con i suoi quasi 50 anni di permanenza – ben rappresenta?! Tutti voi (tranne poche eccezioni, come i giudici Arcadi e Macrì) siete rimasti inermi mentre sotto i vostri occhi la mafia cresceva e imperava, e sotto il vostro naso nella stessa Locri si estorceva con regolarità e si trucidavano decine di giovani nelle strade (dal Tribunale potevate sentire i colpi), mentre la città, da gioiello urbano, calava nel degrado e nella rovina.
Quante omissioni sull’aggressione mafiosa del territorio! Le sentenze che – invece – avete emesso, come quella del Summit di Montalto e quella della Strage di Locri, hanno nei fatti assicurato l’impunità ai mafiosi; nei fatti incoraggiandoli a proiettarsi verso ancora più gravi delitti.
La storia ha già fatto giustizia del Suo collega Guido Neri, che non c’è più, ma che prima di morire ha fatto in tempo ad essere espulso dalla magistratura in quanto contiguo alla mafia. Qualcuno allora (2006) lo compianse come “perdita incolmabile”; e non a caso a farlo è stato il giornale online “Giustizia Giusta” che difende a spada tratta Don Stilo e Giuseppe Morabito, alias u Tiradrittu.
La storia vi condanna e vi inchioda alle vostre responsabilità: se i mafiosi hanno fatto tanti danni e sparso tanto sangue, molti di voi (dello screditato tribunale) siete macchiati dello stesso sangue e come nella canzone di De Andrè: “…per quanto voi vi sentite assolti, siete per sempre coinvolti!”.
Per i danni ed il dolore che avete causato alla Locride e alla Calabria tutta, solo un vostro pentimento potrebbe alleggerirvi la coscienza. Pentimento di cui io – onestamente – non vi faccio neanche capaci.