Don Giuseppe Giovinazzo, morte all’ombra di Polsi
Potrebbe essere legata al rapimento Casella la morte di don Giuseppe Giovinazzo. Il parroco di Moschetta di Locri è stato decapitato a colpi di fucile e pistola il 1° giugno 1989 nei pressi del santuari di Polsi (San Luca d’Aspromonte), luogo di culto religioso e ritrovo annuale del summit ‘ndranghetista. Don Giovinazzo si occupava della processione rituale che si celebra ogni anno nel settembre (era economo aiutante del responsabile del santuario don Giosafatte Trimboli), e che vede migliaia di pellegrini, ma anche decine di boss, affluire in pellegrinaggio in Aspromonte per rendere omaggio alla Madonna della Montagna. Il 31 ottobre 1985 aveva celebrato le nozze dell’allora latitante Giuseppe Cataldo di Locri. Intervistato dalla «Gazzetta del Sud» sulla vicenda, aveva detto che «non sono tenuto a sapere i carichi pendenti e chiedere il cartellino penale a chi si sposa. Non rientra nella missione sacerdotale». Don Giovinazzo insegnava religione alle medie di Locri e, sposalizio del latitante a parte, non aveva mai fatto parlare di sé. La pista principale seguita dagli inquirenti, senza però frutto, è quella dei sequestri di persona: grazie al suo ruolo a Polsi, si sarebbe adoperato per la liberazione di Cesare Casella. Don Giovinazzo aveva incontrato la madre di Casella durante il suo viaggio calabrese. Il suo omicidio è rimasto impunito. Non è il primo prete fatto fuori in Calabria: il 4 luglio del ’66 a Cirella fu ammazzato il parroco di Ciminà don Antonio Esposito, originario di San Luca, probabilmente nell’ambito di una faida. Era un prete molto attivo politicamente, imparentato con la famiglia Strangio. Avrebbe dovuto celebrare quel giorno una messa in ricordo del boss Francesco Barillaro, eliminato un mese prima. Don Esposito possedeva regolarmente una pistola, e la portava sempre con sé.