Morire di mattone: la storia di Giuseppe Macheda
Negli anni Ottanta, quelli in cui scoppia la seconda guerra di ‘ndrangheta, quelli in cui le cosche reinvestono i ricavi dei traffici precedenti nella movimentazione terra e in città si preparano a scorrere i fiumi di denaro del Decreto Reggio, in quegli anni, a Reggio Calabria, di mattone si muore. Anche quando il tuo lavoro è proprio quello di tutelarlo il territorio in cui vivi. La sera del 28 febbraio 1985 Giuseppe Macheda partecipa ad una riunione nella sede della Polizia Municipale. Ha 30 anni ed è vigile urbano. L’incontro si prolunga oltre la mezzanotte. Ad attenderlo a casa c’è Domenica, sua moglie. Aspettano un figlio che nascerà da lì a tre mesi. Al citofono le dice: "Sono arrivato. Aprimi il garage". Il killer, appostato sotto casa, aspetta che Giuseppe scenda dalla macchina e parli con Domenica. Poi gli spara due fucilate alle spalle, uccidendolo sul colpo. Sono attimi di concitazione. La moglie sente gli spari, si affaccia al balcone, vede suo marito riverso, urla. Si affacciano i vicini, alcuni scendono per tentare di soccorrerlo. Ma non c’è più niente da fare. Da sei mesi Giuseppe fa parte della squadra per la repressione dell’abusivismo edilizio alle dipendenze del pretore Angelo Giorgianni. Stanno conducendo ispezioni a tappeto su tutta la città e a Macheda sono toccati i controlli nella zona sud di Reggio. Negli ultimi tempi ha denunciato circa 50 persone fra imprenditori e proprietari di stabili che hanno costruito senza permessi anche su zone sottoposte a vincoli. Le attività del gruppo danno fastidio ed è per questo che la prima pista gli inquirenti la trovano nel lavoro di Giuseppe. Spunta anche il nome di un sospettato, quello di Carmelo Ficara, un imprenditore con piccoli precedenti penali per abusivismo che gli inquirenti ritengono essere vicino alle cosche della zona ed impegnato nella costruzione di villette di lusso a Bocale sulle quali più volte si era concentrato l’interesse della squadra antiabusivismo. Dopo tre gradi di giudizio, vissuti in latitanza, nel 1990 l’imprenditore è stato totalmente scagionato assolto dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Giuseppe Macheda che, ad oggi, resta ancora impunito. Senza mandanti né esecutori. La tutela del paesaggio, in Calabria, richiede il suo tributo di sangue e il suo tributo di terra, condannata ad un presente di mattone su mattone, rosicchiata giorno per giorno alla bellezza.