Demetrio Quattrone e Nicola Soverino, un mistero lungo 20 anni
Reggio Calabria – I numeri 143 e 144. Il 29 settembre 1991, scrivendo dell’omicidio dell’ingegnere Demetrio Quattrone e del medico Nicola Soverino, tra una nota biografica e un dettaglio sulle modalità dell’agguato, i giornalisti danno conto anche della loro posizione nell’elenco dei morti ammazzati di quell’anno. Dopo sei anni di guerra di ‘ndrangheta e i circa 700 “caduti”, quella della contabilità delle vittime, e del suo quotidiano aggiornamento, era diventata, a Reggio Calabria, quasi un’incombenza burocratica. In città non lo immagina nessuno che il 9 agosto 1991, poco più di un mese prima, con l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti erano state gettate le basi per la pace tra le cosche reggine. Nel settembre 1991 Reggio resta ancora una città in guerra, emotivamente anestetizzata dall’orrore visto e patito.
I numeri 143 e 144, però, sono numeri strani. Numeri che non ti spieghi dicendo “è la guerra”. L’ingegnere Demetrio Quattrone ha 42 anni, una fama di professionista inflessibile, un importante incarico di funzionario all’Ispettorato provinciale del Lavoro dove coordina la delicata attività di controllo nei cantieri edilizi. Non meno impegnativo il suo compito di consulente tecnico presso i Tribunali di Reggio, Palmi e Locri. Ama le cose fatte bene. E’ rigoroso, puntiglioso. Vive con la moglie Domenica Palamara e i tre figli – Rosa, Antonino e Maria Giovanna – nel mulino di proprietà del suocero ristrutturato tra gli agrumeti di Villa San Giuseppe, nella zona nord di Reggio Calabria. Ha da poco comprato un’auto nuova, una Bmw 520. Ma la sera del 28 settembre 1991, per le strade del quartiere, non la sta guidando lui perché ha mal di denti.
Al volante c’è Nicola Soverino, un medico di 30 anni che a Roma si è specializzato in omeopatia e a Reggio, dov’è nato e tornato, vive con i genitori nel rione Sbarre e presta servizio presso la guardia medica di Gallico. Sono amici da tempo, il medico e l’ingegnere. E, con la barba nera entrambi, si somigliano pure. Quando imboccano via Mulino, una stradina stretta e buia che in mezzo agli aranceti conduce a casa Quattrone, sbagliarsi è facile. I primi colpi di fucile caricato a pallettoni sono indirizzati tutti contro l’autista. Soverino resta fulminato al volante. Di aver sbagliato bersaglio i due killer lo capiscono quando l’ingegnere, tentando una disperata fuga, aprirà lo sportello del passeggero gettandosi a terra tra l’automobile e un muretto basso. I primi ad arrivare, dopo una telefonata allarmata della moglie di Quattrone che ha avvertito il rumore degli spari, lo troveranno disteso in quella posizione, ucciso a colpi di pistola 7,65.
Il vero obiettivo – l’ingegnere – e il “danno collaterale” – l’amico medico. Entrambi incensurati, entrambi lontani da ambienti criminali, entrambi stimati. Il rebus dell’omicidio Quattrone-Soverino appare subito complesso. Tanti i filoni da scandagliare per i sostituti procuratori Vincenzo Pedone e Santi Cutroneo, titolari dell’inchiesta. Ci sono i controlli sui cantieri edilizi coordinati da Quattrone i cui colleghi, in segno di protesta e solidarietà, si asterranno per una settimana dalle missioni in esterno. Ma non solo. Sui titoli di quei giorni campeggia spesso l’Aurion, una società di consulenza e progettazione fondata dal big calabrese della Dc Franco Quattrone, più volte parlamentare e sottosegretario, a quel tempo segretario regionale del partito e cugino di secondo grado dell’ingegnere. Dall’Aurion, di cui deteneva una piccola quota societaria e per la quale aveva svolto anche il ruolo di tecnico, Demetrio Quattrone si era però allontanato negli ultimi mesi, manifestando più volte l’intenzione di risolvere definitivamente il rapporto. Dalla sede in viale Calabria della società (che risponderà piccata tramite comunicato stampa) saranno sequestrati alcuni documenti, ma la pista non porterà a nulla, proprio come gli approfondimenti sugli interessi dell’ingegnere nel campo della cooperative edilizie nelle zone di Arghillà e Pentimele. L’omicido dei due professionisti resta tuttora senza colpevole.