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Trovati i resti di Lea Garofalo, testimoniò contro la ‘ndrangheta

MILANO – Ci sono storie così drammatiche che anche la scoperta del cadavere
carbonizzato della propria madre può diventare, se non certamente un
lieto fine, un inizio di pacificazione con la vita, un’occasione per
girare pagina e cominciare a guardare al futuro. Questa che raccontiamo è
la storia di Denise, una ragazza calabrese che compirà 21 anni in
dicembre e che, da poche ore, ha saputo che potrà finalmente avere un
funerale per la mamma – che sapeva uccisa da suo padre tre anni fa – e
una tomba sulla quale portare un fiore. È una storia che merita di
essere raccontata anche perché pochi sanno veramente a quale punto di
ferocia arrivi la criminalità organizzata. La ‘ndrangheta, in questo
caso.

Come molte tragedie, anche questa comincia con una storia d’amore.
Quella fra Lea Garofalo e Carlo Cosco, due giovani calabresi. Lei
diventa mamma quando ha solo diciotto anni. La bambina viene chiamata
Denise. Vanno a vivere a Milano. Lui lavora, ma ha pessime compagnie e
diventa in poco tempo un piccolo boss nel mercato dello spaccio di droga
a Quarto Oggiaro, un quartiere popolare. Lea cerca di fargli cambiare
vita. Ma invano. Nel 2002 dopo aver sopportato tutto per amore della
figlia, decide, per coraggio e per disperazione, di collaborare con la
giustizia. Racconta di un omicidio; del traffico di droga nella zona di
piazza Baiamonti; delle trame milanesi del clan dei crotonesi. Entra nel
«programma di protezione»: vive nascosta, con la scorta e sotto falso
nome. Ma gli anni passano senza risultati. Le sue dichiarazioni vengono
quasi dimenticate. Il convivente continua a fare quello che ha sempre
fatto. E a Lea manca Denise, la figlia adorata. Così, rinuncia al
programma di protezione. Torna a vivere allo scoperto.

Il 5 maggio del 2009 Carlo Cosco scopre che lei abita a Campobasso e
manda un suo uomo per ucciderla. Ma Lea è con la figlia, le due donne
reagiscono, il killer fugge. Carlo insiste. È così abile da
riconquistare la fiducia di Lea. La chiama a Milano: «Dobbiamo parlare
della nostra adorata Denise». Lei accetta.

È il 24 novembre del 2009. Lea e Denise arrivano dalla Calabria, e
c’è una telecamera di un impianto di sicurezza che fissa il loro arrivo
all’Arco della Pace, in fondo a corso Sempione, una zona elegante, bei
bar e bei negozi. Carlo Cosco arriva e, con una scusa, separa le due
donne. Denise viene mandata a cena da un parente. Si lascia con la mamma
con un accordo: «Ci vediamo alla stazione centrale alle 23», quando
parte il treno che le deve riportare in Calabria.

Ma Lea alla stazione non arriverà mai. Carlo Cosco, con l’aiuto di
due fratelli, la fa salire su un furgone. La tortura per sapere cosa ha
raccontato ai magistrati. Poi la uccide con un colpo di pistola. Sarà
sempre lui, poche ore dopo, ad andare con la figlia dai carabinieri a
denunciare la scomparsa.

Denise in quel momento ha solo diciassette anni. Torna in Calabria.
Non sa che fine abbia fatto la mamma. Dov’è? Immaginatevi l’angoscia.
Denise cerca il coraggio per continuare a vivere, e lo trova anche in un
ragazzo che la corteggia, le sta vicino, diventa il suo fidanzato. Ma
presto scopre che la barbarie della ‘ndrangheta è inimmaginabile: non
solo suo padre, ma anche quel suo nuovo fidanzato, che in realtà aveva
il compito di controllarla, vengono arrestati per l’omicidio di sua
mamma. Denise, che ormai sospetta anche della propria ombra, scappa al
Nord e va dai magistrati. Adesso è lei a vivere nascosta e sotto falso
nome.

Affiorano particolari dalle indagini, alcuni imputati e testimoni
dicono che Lea Garofalo, dopo essere stata uccisa, è stata sciolta
nell’acido: di lei non esiste più nulla. Il processo (primo grado)
finisce con sei ergastoli. Tutti i condannati, tra cui Carlo Cosco, sono
in carcere.

È di queste ore la svolta. Le indagini sono continuate anche dopo la
sentenza e si è scoperto che Lea Garofalo non è stata sciolta nell’acido
ma bruciata e sepolta in un campo in Brianza. Hanno già trovato le ossa
e alcuni oggetti: si attende l’esame del Dna, ma sembra certo che si
tratti proprio di Lea.

A Denise l’hanno detto l’altro giorno. Da una parte è stato come
veder morire, un’altra volta, la mamma. Dall’altra è stato come
ritrovare un abbraccio, e intravedere la fine del tunnel.