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Ha il cuore di spine la festa di San Rocco

PALMI – S’era bloccata sorpresa e sbigottita di
fronte alle stampelle appese alla parete, alle teste, braccia, gambe,
piedi, mammelle, pezzi anatomici vari, ai pupazzi di bimbi, tutte
riproduzioni in cera, tutti ex voto per grazia ricevuta, tutti a merito e
a decoro della statua miracolosa di San Rocco, con corredo di cane,
accucciato a lato e con la pagnotta in bocca, mantello da viandante,
bastone, sulla gamba la piaga della peste. E alternava occhi incuriositi
tra quegli oggetti e il volto di Alberto, un gaudente un po’ attempato.
Una popolana, avanti negli anni, si frappose ostacolo di un attimo fra
quei loro sguardi. Trascinava un cero lungo una metrata e grosso quanto
il perno della pressa dei frantoi. Arrancava ansimando sotto il peso e
volgeva occhiate stizzite alla comare troppo solerte, che allungava una
mano a soccorrerla nel castigo, di fatica e di soldi, che s’era imposta
per devozione e per gratitudine.

Rosella chiese ad Alberto con uno
scuotere di testa. Alberto allargò il suo miglior sorriso – a esso, a
tante altre attenzioni e alla baldanza fisica delegava il compito di
poter sgualcire entro sera le stesse lenzuola – e "voi padani avete gli
ospedali efficienti e i medici bravi, a noi, per la salute, tocca
affidarci ai Santi, e San Rocco, benché francese, ci ha preso a cuore e
ogni tanto ci accontenta" spiegò, con sfottente ironia. In verità
Rosella con la Padania ci aveva a che fare solo perché vi viveva
dall’età di dieci anni e perché s’era applicata da subito per acquisirne
l’accento. Ma, nata, era nata lì, profondo Sud, sulla tangente alla
curva su cui si consuma il continente dopo aver sputato la Sicilia nel
mare. Ora era tornata da turista, non più Rosina ma Rosella e con quello
sciù sciù con cui, ingannando di lingua, provava a ingannare di origini
– e magari votava Lega, ne era tipo, certi paesani, pur di sbiadire il
passato, tendono a diventare i leghisti più incarogniti.

Rosella, già Rosina, sorrise quel
sorriso da aristocratica con puzza al naso, di chi assorbe le parole
senza pensarle una battuta, una deprimente realtà piuttosto, con medici e
ospedali lì ingiuriati tali, da dover contare davvero più sul Santo per
spuntare guarigioni.

Alberto sapeva forte e radicata la
devozione per San Rocco di Montpellier: sebbene avesse soccorso la peste
dell’altra Italia, era molto più venerato al Sud. Il culto era arrivato
secoli prima assieme ai soldati francesi. Essendo il Santo degli
infermi, delle partorienti, e dei carcerati – che da quelle parti,
modestamente, mai erano mancati, e tuttora non mancano – il buon Rocco
qualche merito se l’è guadagnato, intervenendo sui malati, su puerpere
difficili a sgravarsi, su carcerati con i peli sul cuore e mansi appena
con la sua mano sulla testa. Spesso gli ex voto sono ori, argenti,
preziosi, soldi. Così a Stelitanone di Laureana. E così ad Acquaro di
Cosoleto, dove i gioielli di cui adornano la statua per la processione
pesano più della statua stessa e dove il sedici agosto i devoti giungono
con il buio, a piedi scalzi, da ogni paese del circondario, dalla
Sicilia. Tra loro, i virgineji – le verginelle – carovane di giovani
donne scortate dagli uomini lungo strade asfaltate, mulattiere, viottoli
di campagna, per presentarsi al cospetto del Santo dentro il Santuario
cinquecentesco quando il giorno non ha finito di squagliare la notte e
le rondini sono in attesa che i pipistrelli sgombrino il cielo, per
impadronirsene loro. A Sarazzo, sempre sporco di lingua e non esaudito
nella richiesta di disgrazie su un vicino che troppo progrediva,
mettendo più a nudo le sue miserie, tante lisciate di pelo al Santo non
vanno giù e non salta sedici agosto senza che sbraiti, indicando la
statua, "che Santo dev’essere uno che fa un unico miracolo all’anno, per
giunta al Vescovo che non ne ha bisogno, ora, la sera della festa,
quando quello manda a prendere le offerte dei devoti?". Si guarda però
dal bestemmiarlo. Le invettive, le dirotta sul cane. A cui invece si
affida Peppino, convinto che, stando sempre accucciato ai piedi del
Santo, un po’ di santità gli si è appiccicata addosso e che, non avendo
clientela, magari accontenta lui.

Anche Alberto avrebbe dovuto chiamarsi
Rocco, come il nonno paterno e come il Santo. Gli era invece toccato
quel nome sofisticato di cui s’era vergognato da ragazzo, tra i tanti
abituali e immutabili Rocco, Pasquale, Peppe, Mico, Ntoni. Non era stato
Rocco perché il Santo non aveva saputo meritarselo quando, nella terra
seccagna, il padre, per non dover attendere il turno dell’acqua –
incanalata dal Comune e che erano più le volte che non giungeva al suo
podere, strozzata da Simiggio, scarso di parole ma facile di coltello –
si era deciso a impiegare i faticosi risparmi per un pozzo. Aveva
attaccato al fusto del fico a ridosso della trivella una grande immagine
del San Rocco d’ordinanza, completo cioè di cane, mantello e bastone,
da non dargli scuse per sottrarsi. Ogni sera, l’uomo di fiducia e di
fatica gli comunicava, già prima di smontare dalla bicicletta, la
profondità a cui erano giunti e il risultato che non arrivava e nemmeno
si faceva immaginare vicino. "Cinquanta metri e acqua niente", "settanta
e acqua niente", "ottanta e acqua niente" porgeva mesto, quasi ci
fossero colpe sue. Ai "cento e acqua niente", il padre di Alberto, ormai
debole di tasche, scoraggiato e vicino alla bestemmia addosso al Santo
indifferente, "ma il quadro di San Rocco è sempre lì, bene in vista?"
chiese. Non gli veniva da credere a un simile tradimento, e non lo
digeriva, dopo una devozione che in famiglia durava da generazioni.
L’uomo, "non è c…zo di San Rocco. A mano sua, acqua non ne troviamo"
sbottò serio. Corresse subito però – non si poteva mai sapere con i
Santi, buoni e cari, miracolosi a volte, ma che, se s’incazzano… – e
"non ci ha competenza. San Rocco è il santo delle partorienti, degli
ammalati, dei carcerati. Che ne può sapere di acqua? Per l’acqua si deve
ricorrere a San Venanzio, non per niente lo chiamano l’acquaiolo"
addolcì.

Poi San Venanzio – ne avevano dovuto
scomodare di preti, monache e paucciane per trovare un’immaginetta! –
certo punto sul vivo per una competenza sua e invece a lungo affidata al
collega, li aveva castigati di altri venti metri di profondità prima di
far gorgogliare l’acqua.

A Palmi, siccome un po’ di sangue greco
scorre ancora nelle vene, qualche ex voto è in terracotta. Uno fu una
grossa catena con le manette alle estremità, in argento, intorno ai due
chili di peso, si mormorò per il miracolo spuntato da una mamma di
vedere assolto il figlio da un omicidio di cui pure gli scarafaggi
merdaioli lo sapevano colpevole.

Anche le donne delle famiglie coinvolte
in faide si rivolgevano al Santo, per farsi preferire. Voti pesanti, i
loro, per le vite dei congiunti e per la morte dei nemici. È capitato
che andassero a chiedere grazia entrambi i gruppi in guerra, confondendo
così il buon San Rocco.

Spettacolo a parte, i penitenti. Nella
processione di Palmi, la più suggestiva, appresso alla statua sfilano
gli spinati, a torso nudo e sotto una cappa di rovi con lunghe spine che
penetrano le carni. Procedono scalzi, talvolta a ginocchioni, per una
grazia già spuntata, e che ha mutato la loro vita da così a così, per
una da ottenere, per sola devozione. È sofferenza, che emula quella del
Santo quando soccorse la peste, contraendola lui stesso e rifugiandosi
in una capanna, dove lo assistette un cane – gli portava ogni giorno un
tozzo di pane sottratto al nobile padrone, apposta la pagnotta in bocca.
La forma a campana dell’involucro spinoso, dalla testa fino alla
cintola, rappresenta la capanna dove riparò.

A Palmi, la processione aveva un obbligo
di fermata davanti al vecchio carcere, dove i detenuti si accalcavano,
da poter spremere olio, dietro le sbarre, per vedere il loro Santo.
Ovunque, per l’onorata società la sfilata di San Rocco era un’occasione
per mettersi in mostra. Gli ‘ndranghetisti a condurre la statua
prendendo a spalla sotto le assi in legno di sostegno, mentre il
capobastone, spalle al prete, faccia al Santo e ai portatori e mani
sulla punta delle travi, esibiva il rango nel compito inutile di non
farla sbandare, di farla procedere diritta e con il giusto ritmo.
Un’indecenza. Che, per fortuna, è finita: non conviene più mostrare
l’appartenenza, i 416 bis fioccano di questi tempi. E tuttavia San Rocco
avrebbe potuto accorgersene lui per tempo e cacciarli invece di lasciar
fare tanto a lungo.