>

Testimoni di giustizia

Il testimone di giustizia non è il pentito che decide di
collaborare. E’ un comune cittadino, spesso commerciante o imprenditore, che
vessato dalle cosche che controllano il territorio sul quale lavora decide di
non sottostare alle loro logiche criminali. Denuncia i suoi aguzzini
rispondendo al richiamo del senso civico e della dignità personale, ma non
sempre lo Stato è presente ed attento a tutelarlo. I programmi di protezione
sono aleatori ed il testimone – che dal momento in cui decide di denunciare
perde tutto: tranquillità domestica, attività commerciale, spesso la propria
identità – viene lasciato allo sbaraglio senza un sussidio adeguato per vivere, la
possibilità di accedere alle prestazioni sanitarie o di ottenere un lavoro,
spostato continuamente in condizioni abitative inadeguate e spesso in luoghi
dove il rischio di contatto con elementi malavitosi del luogo di origine è alto
e frequente. La legislazione che regola la tutela del testimone è piena di
buchi, a livello concettuale la figura del testimone e quella del collaboratore
(pentiti con gravi crimini alle spalle ed appartenenti a cosche di mafia) spesso
assimilate: chi denuncia vive isolato, considerato alla stregua di un pentito
(un infame, insomma, che ha parlato). Oltre a questo danno subisce anche la
beffa dell’insulto ("Chi te lo ha fatto fare? Se non avessi parlato non ti
troveresti in questa situazione").

Di storie di testimoni abbandonati e dimenticati dallo Stato il
libro di Paolo De Chiara trabocca. Spinti sull’orlo del suicidio (Carmelina Prisco)
o della follia (Giuseppe Varbaro), ridotti a vivere come mendicanti (Luigi
Coppola) o uccisi per negligenza istituzionale (Domenico Noviello), chi compie quello
che è da considerarsi un atto di coraggio – fatto in territori esplosivi in cui
le ramificazioni criminali sanno tutto e possono ordire ritorsioni a vari
livelli ed anche a distanza di tempo (la vendetta, tout court) – si trova a
vivere un calvario senza fine. Siamo davanti ad un’inchiesta-denuncia molto
forte che attraverso la raccolta delle testimonianze dirette (tra cui quelle
positive e piene di forza del calabrese Rocco Mangiardi e della siciliana
Valeria Grasso) e delle interviste ad Angela Napoli, consulente della Commissione
parlamentare antimafia; al Procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo; a Nadia
Furnari dell’Associazione Rita Atria; ad Ignazio Cutrò, Presidente dell’Associazione
Nazionale Testimoni di Giustizia, evidenzia lo squilibrio del sistema che ai
collaboratori – utili alla magistratura per scardinare i meccanismi intrinseci
al potere criminale – garantisce ampi benefit (stipendio e affitto pagato),
mentre ai testimoni – utili fintanto che dicono tutto quello che sanno
nell’ambito circoscritto delle loro denunce – non garantisce nulla, nemmeno l’incolumità.