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Vent’anni di musica nel cuore di Reggio: la storia del Mustrumu

REGGIO CALABRIA – Affiancando all’attività museale un lavoro continuo di ricerca e produzione culturale, il Museo dello strumento musicale di Reggio Calabria è diventato uno spazio culturale aperto che, accanto alla cura delle tradizioni popolari calabresi, ha realizzato attività di livello internazionale, lavorando con passione per rendere il rapporto con la musica una esperienza accessibile a tutti. Angela Spagna, referente per la cultura e l’attività didattica del Mustrumu, ripercorre con noi la storia dell’importante presidio culturale reggino incendiato all’alba del 4 novembre.

Come e quando è nato il Museo dello Strumento Musicale?

"L’associazione Museo dello Strumento Musicale nasce intorno alla gestione di una raccolta di più di ottocento strumenti provenienti da ogni parte del mondo. Ci è sempre piaciuto definire il museo uno spazio multietnico perché nel corso degli anni siamo riusciti ad unire strumenti della tradizione popolare reggina ad altri numerosi pezzi provenienti dal resto d’Europa, Africa, Asia, America, mescolando quindi diverse tradizioni musicali. Ci sono anche strumenti che sono stati acquistati dai musicisti stessi e che possiedono quindi un profondo valore simbolico. La collezione si trovava inizialmente a casa del fondatore Demetrio Spagna, poi è diventata cosi ingente da richiedere una collocazione più adeguata".

Come è avvenuto il passaggio alla sede attuale del museo?

"In una prima fase ci spostavamo con le macchine ed esponevamo gli strumenti nei luoghi dove era possibile farlo, una specie di museo itinerante. Poi nel 1996, grazie all’interessamento del sindaco Falcomatà, è stata data in affitto all’associazione l’attuale struttura delle Ferrovie dello Stato. La condizione dello stabile era abbastanza tragica, di comprensibile abbandono. Ci siamo rimboccati le maniche: abbiamo abbattuto muri e sistemato i locali per renderli adatti a mettere in piedi una prima esposizione. Da subito è stata curata la catalogazione degli strumenti e la scrittura delle didascalie. Gli strumenti sono stati divisi nelle cinque famiglie: idiofoni, membranofoni, cordofoni, aerofoni e meccanico elettrici. Già allora era bello vedere l’accostamento di strumenti indiani, nordafricani, sudamericani sulla base delle famiglie degli strumenti".

L’incendio ha distrutto anche l’archivio del Mustrumu, la parte forse meno nota del museo. Cosa ci puoi dire su questo tesoro nascosto della città?

"Parallelamente all’allestimento museale, è stato curato da subito l’aspetto della ricerca scientifica. L’archivio conteneva tutte le memorie degli studi e dei viaggi realizzati nel corso degli anni. In generale, ci siamo mossi sempre in una duplice direzione: valorizzazione della collezione dal punto di vista espositivo e continuazione nell’ambito della ricerca scientifica, in modo tale da rendere la collezione attuale e poter dare tutte le informazioni necessarie a chi veniva a visitare il museo. A livello personale è stata per me una delle prime reali esperienze di vita: pur non suonando nessun strumento, ho imparato a raccontare la collezione e a spiegarla soprattutto ai bambini riuscendo a vedere la gioia nei loro occhi".

A chi si rivolge principalmente il Museo e quali, tra i tanti progetti realizzati, ne rappresentano al meglio la presenza sul territorio?

"Il target principale è costituito dalle scolaresche di ogni ordine e grado, tantissime in questi vent’anni. Ma ci sono anche studenti universitari che hanno scritto le loro tesi di laurea sul Museo, stagisti che hanno fatto l’esperienza di guida museale e che si sono occupati di ricatalogare gli strumenti. Parallelamente abbiamo dato vita a diversi progetti in favore della diffusione della cultura musicale. L’ultimo in ordine cronologico è il progetto "dall’Arpa alla Zampogna", una rassegna che vuole celebrare tutti gli strumenti musicale dalla A alla Z, non solo dal punto di vista organologico ma convogliando qui a Reggio le case produttrici, l’editoria, ogni settore che può avere una relazione con lo strumento scelto. L’anno scorso c’è stato l’evento "A come arpa" quest’anno "B come Berimbau" e dall’anno prossimo continueremo fino ad arrivare alla Z. Ci piace curare l’aspetto internazionale della rassegna, per portare a Reggio diversi punti di vista sugli strumenti musicali. Posso ricordare il progetto "Cordax" teso a recuperare le musiche e le danze della tradizione popolare reggina; il progetto "Griot" – poeta e cantore orale della tradizione di diversi paesi africani nda – sulle percussioni iniziato con Baba Sissoko, musicista maliano di fama internazionale; dalle visite delle scuole è nato il progetto "Raccontami il museo" col quale gli studenti possono lasciare elaborati sulle impressioni avute dalla visita guidata alla collezione; da anni curiamo lo "Spazio Sonoro Attivo" col quale i musicisti possono sviluppare il loro progetto musicale nell’ambito dello spazio del Mustrumu. Si sono anche formati ensamble nell’ambito del cosiddetto "sound painting", un particolare tipo di espressione musicale che fa ricorso a diversi tipi di performance: teatro, danza, pittura, video. Ma l’elenco completo di tutte le attività realizzate dall’associazione sarebbe davvero lunghissimo".

Il Mustrumu per molti è sempre stato parte della città, altri cittadini invece ne hanno scoperto l’esistenza solo dopo l’incendio. C’è bisogno che la cultura vada in fiamme perché la città impari a conoscere e a riappropriarsi dei suoi spazi culturali?

"È una riflessione amara che hanno fatto in molti. Negli ultimi anni questo spazio è rimasto aperto tutti i giorni nelle ore diurne come prodotto del lavoro di un’associazione culturale, siamo noi che abbiamo avuto l’aspirazione e la passione di renderlo un museo, ma non è proprio la stessa cosa. Sono stati organizzati concerti, eventi, momenti aperti a tutti i cittadini in cui abbiamo cercato di raggiungere diversi target. Nonostante questo, sforzo e aspirazione si scontrano spesso con difficoltà oggettive, considerando tra l’altro che il museo è andato avanti, contando esclusivamente sulle sue forze e grazie soprattutto al supporto del presidente. Questo evento tragico è stato una grande cassa di risonanza, e di questo siamo comunque felici. Sono arrivate attestazioni di solidarietà dalla Città della Scienza, dalla Francia, dagli Stati Uniti, dall’Olanda. Anche se dopo la prima settimana la partecipazione dovesse gradualmente diminuire, c’è tutto il tempo di aiutare il museo, l’effetto traino avrà sicuramente effetti a lungo termine".

Credi che quanto accaduto sia connesso alla zona della città in cui sorge il Museo?

"C’è chi ha riflettuto sulla connessione tra la posizione del museo e l’incendio, sul fatto che ci siano delle pressioni su questa area, ma io su questo non so che dire. So però che la città vuole che il Mustrumu rimanga qui e noi insieme alla città cercheremo di fare in modo che ciò avvenga".