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Mafia, le “linee guida” della Chiesa calabrese

REGGIO CALABRIA – Cominciato con un’analisi cauta della piaga mafiosa nell’ambito di una lettura ad ampio raggio dei problemi meridionali, la posizione ufficiale della
Chiesa nei confronti della ‘ndrangheta, restituita da decenni di documenti, note, lettere pastorali, sembra seguire la traiettoria precisa di un crescendo, con prese di posizioni sempre più dettagliate, avanzate e marcate nel segno di un impegno contro "la piaga disonorante della società".

"La carenza di moralità è coerente conseguenza di un deficit di spiritualità". È quello che l’intero episcopato meridionale (17 arcivescovi, 55 vescovi, 2 prelati e 3 abati) afferma il 25 gennaio 1948 in una lettera collettiva dal titolo I problemi del Mezzogiorno. Nel documento compaiono diverse prese di posizione che segnano un primo passo verso il riconoscimento del peso del fenomeno mafioso all’interno della situazione sociale del Sud. «L’arretratezza culturale […] non è dovuta tanto alle deficienze della scuola quanto a fenomeni [… come] il clientelismo, l’individualismo esasperato ed il disinteresse per il bene comune e per la cosa pubblica, uno scarso spirito di intraprendenza e di rischio, il rifuggire da impegni e responsabilità troppo gravose, la tendenza a tutto attendere dallo Stato, ad addossare a esso anche colpe e responsabilità che non sono sue, uno spirito di fatalistica rassegnazione, una certa tendenza al parassitismo sociale (…). Questi fenomeni sono in gran parte reazioni di difesa contro le angherie, i soprusi, gli inganni, e lo sfruttamento cui sono state sottoposte per secoli le popolazioni del Sud e, nello stesso tempo, sono il frutto dello stato di passività, di inerzia e di abbandono in cui il Mezzogiorno è stato tenuto da tutti coloro che avrebbero dovuto adoperarsi per crearvi condizioni di crescita culturale e umana».

Quasi trent’anni dopo, nel 1975, la Conferenza Episcopale della Calabria, con il contributo fondamentale dell’arcivescovo di Reggio, monsignor Giovanni Ferro, precisa l’obiettivo ed esprime una durissima condanna del crimine organizzato nella lettera "L’Episcopato calabro contro la mafia, disonorante piaga della società". I vescovi calabresi dunque, per la prima volta in modo corale e determinato, «levano la voce» contro il «doloroso e triste fenomeno della mafia, disonorante piaga della società, segno di arretratezza socio economica e culturale e di involuzione morale e civica, che oramai si estende sempre più audace con collegamenti e collaborazione multiformi tra gruppi di perfidi avventurieri del Meridione ed esponenti della più spregiudicata delinquenza del Nord». Il fenomeno mafioso viene definito senza esitazione «cancro esiziale e soprastruttura parassitaria che rode la nostra compagine sociale, succhia con i taglieggiamenti il frutto di onesto lavoro, dissolve i gangli della vita civile; con sequestri […] e con uccisioni cinicamente consumate, irride e calpesta i valori più alti, gli affetti più sacri della vita». Crisi di valori, fame del denaro, sete del potere, bramosia del successo sono indicate come la causa di tutto. Cosa può fare la Chiesa? Ancora una volta si sottolinea la convinzione che «la formazione delle coscienze è il contributo più prezioso della Chiesa nella lotta contro la mafia e per l’effettivo decollo della Regione». L’obiettivo è raggiungere l’unità tra vita individuale e vita sociale. Se la devozione popolare si discosta dalla fede autentica che è ascolto esistenziale della volontà divina, rischia di scadere in "vuoto sentimentalismo che si nutre di pratiche pietistiche. La devozione, se autentica, invece trasforma la vita".

Altra tappa fondamentale, quella segnata nel 2007 a Falerna dal convegno "E’ cosa nostra" organizzato dalla Caritas Calabria: "La ‘ndrangheta è un fenomeno umiliante e mortificante per la società, ma anche per lo Stato nel quale viviamo", dichiara mons. Domenico Tarcisio Cortese, delegato della Conferenza episcopale calabra per la Caritas. Il testo è ricco di affermazioni forti, che adeguano la linea ufficiale al percorso pratico seguito da chi svolge da decenni la propria parte contro la ‘ndrangheta nei territori dove la scelta di campo è netta e non priva di rischi, neanche per gli uomini di chiesa. È questa chiesa che si impegna assieme a famiglia e scuola, a "svuotare la mentalità mafiosa nelle nuove generazioni, che rappresentano il futuro della nostra terra". Viene fuori l’immagine di una Chiesa calabrese sempre più consapevole del proprio territorio e delle interazioni tra le sue problematiche: "Più volte abbiamo affrontato temi come la tratta, il mancato sviluppo, la disoccupazione, la mala sanità ecc. ma ci siamo accorti che non si può intervenire in modo radicale su questi problemi della società calabrese e non solo, se non si capisce e non si aggredisce il fenomeno mafioso".

Sempre nel 2007 viene elaborato il documento della Conferenza Episcopale Calabra dal titolo "Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo". Nel testo viene ribadita la necessità di "individuare i passi da compiere per costruire una società più giusta e solidale, tale proprio perché finalmente sciolta dalle catene del peccato e del male imposte dalle organizzazioni criminali". Bisogna chiedersi che tipo di cultura della vita e della legalità viene percepita oggi dai cristiani, dalle famiglie, dai gruppi e dalle comunità parrocchiali? "Le mafie, di cui la ‘ndrangheta è oggi la faccia più visibile e pericolosa, costituiscono un nemico per il presente e l’avvenire della nostra Calabria. Noi dobbiamo contrastarle, perché nemiche del Vangelo e della comunità umana".

Infine, a Cosenza pochi giorni fa l’arcivescovo di Cosenza – Bisignano, monsignor Salvatore Nunnari, celebrando l’eucarestia per i 30 anni della morte del generale Carlo Alberto Della Chiesa, ha annunciato la distribuzione una sua riflessione pastorale dal titolo ”Mi appello a voi, uomini della mafia” che denuncia la ”devastante presenza” di un’organizzazione che ”alla terra calabrese fa pagare un altissimo prezzo a livello sociale, economico e religioso in termini di arretratezza, di serenità e di sviluppo".