Category — arte e cultura
La ‘ndrangheta davanti all’altare – il libro
Don Italo Calabrò diceva che "nel coraggio dei suoi pastori, la gente ritrova il suo coraggio", e lanciava un’esortazione a non piegarsi, a non accettare il compromesso criminale, a fungere da esempio per la gente. Con "La ‘ndrangheta davanti all’altare" (Sabbia Rossa Ed, 2013) – che sarà presentato il 14 luglio a Reggio Calabria (ore 21), nel quadro delle iniziative promosse da Tabularasa Festival – l’Archivio Stopndrangheta e Sabbia Rossa ED si sono invece chiesti cosa succede quando il meccanismo che si innesca è quello opposto. Cosa succede quando è molto più facile seguire il vecchio detto "fa ciò che il prete dice, non ciò che fa"; cosa succede quando i confini tra Chiesa e ‘ndrangheta diventano così labili da mescolarsi e confondersi; cosa succede se accanto alla Chiesa che resiste, opera un’altra Chiesa che si volta dall’altra parte.
Queste sono le domande alle quali il libro prova a rispondere. Risposte che, in verità, si erano già cercate il 10 settembre 2012 nel corso del dibattito che l’Archivio Stopndrangheta e Sabbia Rossa ED avevano dedicato ai rapporti tra Chiesa e ‘ndrangheta. Un incontro molto partecipato, ricco di contributi preziosi (don Ennio Stamile, don Pino De Masi, don Giacomo Panizza, il Procuratore Giuseppe Creazzo), che hanno gettato il seme perché ci si continuasse ad interrogare, si continuasse a scavare e ad approfondire questa tematica spinosa e delicata, sulla quale si continua, diffusamente, a tacere.
Ne è venuto fuori un lavoro accuratamente documentato, che racconta i fatti partendo dal rovesciamento dei Dieci comandamenti, quegli stessi comandamenti che sono i pilastri portanti della Chiesa e che dovrebbero segnare la vita e la moralità di ogni buon cristiano. "La ‘ndrangheta davanti all’altare" mostra i due volti della chiesa, quella che si gira dall’altra parte, facendo finta di nulla, e quella che invece non intende voltarsi e guarda fisso davanti a sé con coerenza e coraggio. Ma racconta anche quale sia il legame profondo tra ‘ndrangheta e religiosità, religione e devozione, esplorando il luoghi simbolo in cui, da sempre, il sacro e il profano chiudono il cerchio delle redici e della tradizione criminale.
Il blog dedicato al libro: http://ndranghetadavantialtare.wordpress.com/
luglio 8, 2013 Commenti disabilitati su La ‘ndrangheta davanti all’altare – il libro
Al via Trame 2013 – il programma del festival
http://www.stopndrangheta.it/file/stopndrangheta_1721.pdf
giugno 18, 2013 Commenti disabilitati su Al via Trame 2013 – il programma del festival
“Ultimo domicilio: sconosciuto”. Storia di una donna senza volto
Il bando della Regione Toscana recitava: “Viaggio verso la libertà: una storia, tante diversità, ancora in viaggio”.
Istintivamente abbiamo pensato: libertà, diversità, ancora in viaggio. Ancora in viaggio?! Racconteremo le donne. Ovviamente.
E altrettanto ovviamente le domande…
Quando cambiano le donne, che succede nella società?
E quando le donne viaggiano verso il cambiamento, cosa cercano?
E quando cercano la libertà, qual è il prezzo da pagare? Di sicuro si rinuncia a qualcosa…
La risposta è più semplice di quanto si creda: il bisogno primario, la libertà che le donne cercano, è la libertà di essere felici.
Avevamo già lavorato insieme sulla Resistenza. Sulle donne della Resistenza.
Donne considerate poco più che “cameriere”: preparano il pranzo, portano i messaggi, rischiano la vita pedalando attraverso le file nemiche… e restano nell’ombra, come fanno le donne: discrete e accoglienti.
Il gioco si rompe quando questa specie di pudore non basta più a preservarle dai feroci pregiudizi che devono sopportare: “dormi con gli uomini, sei una puttana”. E’ davvero troppo: da qui, da questo disprezzo, nascerà una reazione irrefrenabile che innescherà un cambiamento epocale per una società immobile da secoli.
E oggi?
Dopo tutti i femminismi e i movimenti, chi sono le donne che, anche inconsapevolmente, sentono il bisogno di intraprendere questo cammino?
La prima risposta per due laiche non scevre da un filo di pregiudizio ci ha fatto sorridere: è evidente, le donne nella Chiesa. E’ nata così Felicita: una suora un po’ hippie, che per espandere il suo spirito fuori da confini che sente troppo stretti decide alla fine, pur non abbandonando la sua fede, di lasciare i voti.
Manca ancora un altro tassello, ci mettiamo a lavorare per costruire il personaggio di una donna inconsapevole, romantica e naif che si innamora di un grottesco cantante neo melodico coinvolto in giri di camorra. Eravamo rimaste folgorate, sulla via di Damasco, dal risvolto tragicamente surreale di cantanti come Maria Nazionale con Ragione e Sentimento o Tommy Riccio con Nu’ latitante. Questa immagine strappalacrime e eccessiva della cultura che sottende all’ “estetica camorrista” risultava decisamente comica ad un occhio esterno come il nostro. E qui sta l’equivoco: è questa visione “eroica” delle donne e degli uomini delle mafie che crea il substrato che ne permette la riproduzione e il consenso.
E qui, quasi per caso, ci viene incontro Rossella Casini e, senza rendercene conto, ci ritroviamo in un contesto diverso, più “sobrio” e apparentemente meno distante come quello della ‘ndrangheta, che fa del silenzio e della compostezza la sua cifra distintiva.
Rossella incontra Francesco Frisina e la condizione che li accomuna è quella di essere studenti all’Università di Firenze.
Rossella si innamora.
Come le sue amiche.
Tutto normale.
Come si sa, l’amore è cieco, ma un omicidio si vede benissimo…: in Calabria viene ucciso il padre di Francesco e lei decide, come molte donne, di “salvare” l’amato.
E’ che in quel contesto non si può salvare chi non vuole essere salvato. Se parli, muori. Non si fa. Nessuna donna può farlo. Come rivela il pentito Vincenzo Lo Vecchio, l’ordine della famiglia Frisina è perentorio: "Fate a pezzi la straniera".
Rossella scompare e di lei non resta neanche una foto, ed è sempre una canzone – “I cunfirenti” – pescata dal nutrito repertorio filomalavitoso, che ci rivela un altro particolare: se parli sei un pezzo di niente : “Tu non si omu, si na pezza e nenti/Carne venduta i carogna infamanti/Tradisti lu cori di tanta genti/Tu si cuntrastu, sbirru e cunfirenti/Cu sgarra paga e paga ca vita/E tu non si degnu di campari.”
Rossella vede questa realtà con i nostri occhi: dall’esterno, utilizzando una logica che non può funzionare in quei territori. La vede senza avere gli strumenti per decifrare segnali e regole. Senza capire chi è “il regista del film che sta vivendo”. E, soprattutto, pensa che sia sufficiente dare risposte “moderne” ad un mondo arretrato.
“Tre” è lo spettacolo che narra le storie di Aurora, la partigiana, Felicita, la suora e Lea, la testimone di giustizia.
Gli amici di Libera Firenze vedono lo spettacolo e ci chiedono di fare qualcosa per la “XVIII giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”, Lea prende il sopravvento: la sua storia si svincola dagli altri personaggi e diventa autonoma, amplia la visione e ci fa entrare in un mondo dolente, di donne che soffrono in silenzio ma che ancora, in segreto, hanno la forza di sognare, di provare ad essere libere.
Lea, la protagonista del nostro spettacolo, è ispirata a Rossella ed il suo nome è un evidente omaggio a Lea Garofalo; la nostra protagonista però non muore, vive sotto protezione ma trova la “sua ” felicità.
Come scrive Renate Siebert, “Il rifiuto dei sentimenti altri e la negazione dei propri sono la base sulla quale si sviluppa l’appartenenza mafiosa. Bisogna batterli sulla qualità della vita, sulla ricerca di felicità, sull’amore”.
PS: Oggi è il 17 Giugno 2013, mentre chiudiamo l’articolo, Francesca Chirico ci invia la notizia del ritrovamento della foto di Rossella. E’ un’emozione che non sappiamo descrivere.
giugno 17, 2013 Commenti disabilitati su “Ultimo domicilio: sconosciuto”. Storia di una donna senza volto
‘Ndrangheta – Sara Velardo
giugno 10, 2013 Commenti disabilitati su ‘Ndrangheta – Sara Velardo
Ultimo domicilio sconosciuto
giugno 4, 2013 Commenti disabilitati su Ultimo domicilio sconosciuto
7grani – Caminante
maggio 28, 2013 Commenti disabilitati su 7grani – Caminante
La nostra guerra non è mai finita
http://www.stopndrangheta.it/stopndr/dettaglio.aspx?id=1699
aprile 4, 2013 Commenti disabilitati su La nostra guerra non è mai finita
Io parlo. Donne ribelli in terra di ‘ndrangheta
http://www.stopndrangheta.it/stopndr/dettaglio.aspx?id=1696
marzo 20, 2013 Commenti disabilitati su Io parlo. Donne ribelli in terra di ‘ndrangheta
L’intoccabile
Marisa è una bambina fortunata ad essere circondata da una famiglia immensa, in una casa che sembra un porto di mare. Gente che entra, gente che esce, la nonna sempre intenta a cucinare ogni sorta di leccornia calabrese dal primo al dolce passando per i contorni. Una famiglia come tante che a cavallo tra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni Settanta sbarca a Milano dal profondo sud. Apparentemente una famiglia normale. Se non fosse per l’attività che svolge. Soprattutto la nonna, la "Signora Maria". La signora Maria è, precisamente, Maria Serraino, della omonima cosca che nel quartiere San Sperato di Reggio Calabria ha un dominio incontrastato. A Milano la donna si fa strada senza guardare in faccia nessuno; corrompe le divise (di qualsiasi colore e settore) a suon di stecche di Malboro, rolex, droga. Parte dalla piccola ricettazione in piazza Prealpi, suo quartier generale e zona franca all’interno della quale non esiste, non può esistere, concorrenza. La sua attività cresce, smercia di tutto dagli orologi alle capre. Merce rubata, s’intende, che nasconde ovunque in casa propria ed in quella dei vicini conniventi. Le pistole finiscono nei pacchi di pasta o dietro i battiscopa; i soldi, involtolati in buste di nylon, incastrati col cibo nel congelatore. Non c’è nulla a cui non possa arrivare Maria Serraino, non ha peli sul cuore, non si fa scrupoli ad ordinare esecuzioni sommarie. Ha ai suoi piedi una coorte infinita di soldati e affiliati. Marisa è la figlia di Emilio Di Giovine, figlio a sua volta della Signora Maria. Con la diletta madre Emilio, piacione e intraprendente tombeur de femmes, fa la sua personale scalata al potere passando con disinvoltura dalla ricettazione spiccia al traffico internazionale di armi e droga. Di tutto questo, Marisa scorge solo il prodotto finale: i soldi, la bella vita, le automobili di grossa cilindrata cambiate ogni due settimane, le vacanze nei posti chic, gli hotel sfarzosi. Lavorata ben bene, Marisa è un ingranaggio fondamentale durante la latitanza di suo padre: una bella ragazza bionda, dal forte accento inglese (sua madre è inglese, di Blackpool), che gira indisturbata per gli aeroporti di mezzo mondo ed attraversa in scioltezza le dogane tra Italia, Francia, Svizzera e Spagna imbottita di milioni di lire. La corriera del denaro sporco dei Serraino-Di Giovine, scala indisturbata i vertici ed è come se la sua voce fosse quella di suo padre Emilio. Indiscutibile. Si rende finalmente conto della provenienza dei soldi con cui paga i suoi bagordi ed ha finalmente chiara l’attività della sua famiglia. Poco importa. La nuova rampolla fa appena in tempo ad assaporare l’ebrezza del comando, il sottile piacere che da appartenere ad una famiglia potente che della sua vita e della sua attività dovrà ben presto rendere conto alla legge. Lei, come tutta la sua famiglia, arrestata ed imprigionata per un numero complessivo sconvolgente di anni…
Non una grandissima prova di stile narrativo, questa confessione fiume della Merico. Forse non era nemmeno questo l’intento; forse era più voglia di vuotare un sacco diventato fin troppo pesante. Spesso però la formula narrativa diventa capziosa, ai limiti di una sindrome di Stoccolma improvvisa di cui ci si accorge solamente una volta che ci si è dentro al completo. I ricordi che circondano Maria Serraino sono quelli di una nonna premurosa e attenta, che fa sua, da buona donna calabrese, l’arte culinaria e sviscera un amore scandaloso per la nipote e per la famiglia nel suo complesso. Ma stiamo parlando di una donna terribile, una delle teste più spietate che la ‘ndrangheta abbia esportato al nord. Così come stiamo parlando di suo figlio, Emilio Di Giovine, altrettanto spietato ed ossessionato dalla scalata al potere, ai soldi. L’immagine edulcorata che la Merico da della sua famiglia, si sgretola impietosamente davanti alla crescita smisurata di un crimine che per farsi strada ammazza e corrompe. Tipica mentalità mafiosa. Tipico atteggiamento ‘ndranghetista. Allora scatta subito un’altra riflessione. Finalmente. Sì, finalmente si scrive che la mafia al nord non è roba da anni Novanta. Il solco era stato tracciato molto, ma molto prima. In quegli anni Settanta, in Piazza Prealpi. Alla faccia di chi si sentiva esente da una gramigna che ha messo radici ovunque. Indistintamente. Non un libro irresistibile, allora, se non per questo particolare fondamentale che in qualche modo ne salva le sorti in extremis. Un tassello ulteriore nel grande mosaico della storia ‘ndranghetista per chi è curioso e vuole saperne di più. Una irresistibile strategia di marketing che sbanca per chi ha capito già da tempo che puntare sui libri di mafia fa bene alle vendite.
ottobre 17, 2012 Commenti disabilitati su L’intoccabile
Un viaggio “Senza targa” nella buonavita calabrese
"SENZA TARGA – per non morire la seconda volta di ‘ndrangheta", è un viaggio nella Calabria della buonavita, quella che cerca ogni giorno di sopravvivere alla malavita. Un viaggio intenso e corale, raccontato da Paola Bottero e Alessandro Russo, due voci fuori dal coro, per scelta. Sul piano formale "Senza targa" non è un saggio, non è un romanzo, non è un diario: è un po’ di ciascuna forma letteraria, un percorso a due in cui ai dodici ritratti di Calabria si sovrappongono e mescolano tanti altri ritratti di una terra che ti fa bollire il sangue, proprio come il suo sole e la sua disarmonica armonia. Come su una tela in contrasto con la Cacania e gli uomini senza qualità di Musil, dove si sovrappongono i grigi e i neri della malavita, emergono i colori e i bianchi di chi ha scelto la Calabria della buonavita. Le donne, innanzitutto. Donne-sindaco: Maria Carmela Lanzetta ed Elisabetta Tripodi. Mimose sciolte nell’acido: Lea Garofalo, attraverso la denuncia della sorella Marisa, Maria Concetta Cacciola, Angela Costantino, Tita Boccafusca, e con loro Orsola Fallara e Giuseppina Pesce. Tra i chiari e gli scuri, i professionisti e i professionismi dell’antimafia.
"Partendo dagli estremi della penisola italiana ci siamo messi a cercare.
Il tempo perduto, forse. Quello perso da noi, quello perso da altri. La
testa piena di quel tanto, di quel troppo che avevamo visto, ascoltato,
sentito, letto. Così troppo da averne perso spesso la memoria. Capita
anche a voi, ne siamo certi: liberate spazi di memoria per i nuovi
ricordi. Non potendo fare un upgrade, facciamo un reset. I nuovi ricordi
entrano facili, si sistemano per benino, mettono su casa. Poi anche
loro diventano vecchi, anche loro devono essere gettati per creare spazi
in cui i nuovi ricordi possano invecchiare.
Eccolo, il tempo
perso. Quello perso a soffocare i vecchi ricordi per incastrare quelli
nuovi, che nel frattempo diventano vecchi, e devono essere soffocati per
i nuovi incastri. Arriva un momento in cui nessuno ha più voglia di
soffocare e incastrare. Arriva un momento in cui senza perdere altro
tempo, neppure per prenderne coscienza, si decide di smettere ogni
rapporto con i ricordi. Di passarli direttamente nel limbo del
dimenticatoio. Una sola fatica invece che un rito meccanico e faticoso
che porterebbe comunque alla stessa meta. Meno tempo perso.
A
proposito di tempo perduto. Secondo Proust «la realtà non si forma che
nella memoria». Forse questa realtà è così sformata e priva di coerenza,
oltre che di identità, perché non abbiamo più memoria? perché abbiamo
deciso, o qualcuno ha deciso per noi, che è meglio non averne?".
(Paola Pottero, Alessandro Russo, "Senza Targa", Sabbiarossa edizioni, Reggio Calabria 2012)
agosto 27, 2012 Commenti disabilitati su Un viaggio “Senza targa” nella buonavita calabrese